Afghanistan. L’odissea senza fine dei rifugiati, fra Iran e Pakistan
Paese nel cuore dell’Asia centrale, l’Afghanistan è sempre stato al centro degli interessi geostrategici delle grandi potenze, subendo le conseguenze di invasioni, occupazioni militari e ingerenze nella politica interna.
Alla fine del 2023 il numero di rifugiati afghani si aggirava sui 6.4 milioni, la terza popolazione al mondo di sfollati, dopo i profughi siriani e ucraini. Negli ultimi decenni l’inefficiente apparato amministrativo e un governo centrale, minato da forti fratture con le potenti figure tribali locali, non hanno potuto contrastare la corruzione dilagante (secondo l’indice di Transparency International, l’Afghanistan è al 175° posto su 177 paesi). La sopravvivenza economica, sia sul piano delle attività produttive che su quello istituzionale, è minata dalla sensibile diminuzione degli aiuti internazionali.
Gli afghani hanno sopportato più di 40 anni di conflitti, disastri naturali, povertà endemica, insicurezza, e l’avvento del regime talebano ha intensificato violenza e instabilità. I diritti umani sono calpestati: veri e propri crimini contro l’umanità, come la persecuzione di genere. La crisi umanitaria, che non accenna a terminare, ha provato fortemente la caratteristica resilienza del popolo. Nello stesso Afghanistan si contano 3.2 milioni di sfollati interni e 34.800 rifugiati. Unica via d’uscita resta dunque la fuga dal paese. Iran e Pakistan, paesi confinanti, sono la prima meta di chi fugge. Spesso terre di transito verso la lontana e tristemente famosa rotta balcanica, negli anni i due paesi hanno anche accolto migliaia di profughi che sono rimasti.
I dati del governo iraniano ne stimano una presenza di 4.5 milioni nel paese (il 71% donne e bambini). Ma l’Iran vive uno dei momenti tragici della sua storia: negli ultimi mesi è salito nella classifica dei paesi in guerra per il coinvolgimento nel conflitto in Medio Oriente, che sta prendendo le dimensioni di guerra totale. La repubblica islamica è stata anche scossa dalle violente proteste scatenate dalla morte di Mahsa Amini, la studentessa 22enne curda morta dopo essere stata fermata dalla polizia morale di Teheran. Il dissenso contro la Guida Suprema Ali Khamenei aumenta. E l’Iran attraversa un inverno demografico secondo gli esperti preoccupante, con la popolazione che sembra destinata a dimezzarsi entro fine secolo e tassi di natalità in continuo calo a dispetto degli sforzi governativi volti a incentivare le nascite e sostenere le famiglie.
Il tema dei rifugiati afghani è molto dibattuto. Milioni di persone sono già state rimandate indietro e la campagna per la loro espulsione dall’Iran continua ad intensificarsi. Il parlamento di Teheran ha proposto di ridurre e la “popolazione straniera” (termine generico utilizzato in riferimento ai rifugiati afghani) del 10% l’anno. Se la normativa verrà approvata, le autorità locali dovranno garantire che “i cittadini stranieri” non superino il 3% della popolazione in nessuna città o provincia. È stata inoltre completata la costruzione dei primi 10 chilometri di un muro di cemento che andrà a sigillare il confine nord-orientale, quello più utilizzato da chi fugge dall’Afghanistan.
Situazione analoga in Pakistan, dove il Governo, che aveva assorbito per 40 anni la più grande migrazione della storia, nell’ottobre dello scorso anno ha approvato un piano di rimpatrio forzato per più di un milione di stranieri privi di documenti validi. Sono quasi un milione gli afghani già espulsi dal paese. Nessuno li vuole. Continua l’odissea di un popolo che in patria non ha alcuna speranza di futuro. Una delle tante piaghe di questo nostro tempo che chiede risposte alla cooperazione internazionale. Chiede la disponibilità di tante donne e uomini di buona volontà.