Una favola vera
Siamo stati emigranti, ben 18 milioni in America, fino agli anni Cinquanta del ‘900. Arrivati con le valigie di cartone, senza una parola d’inglese, straccioni da non accettare nei bar come succedeva ai “neri”, considerati puzzolenti e con una lingua incomprensibile dalla razza bionda e felice che ci accoglieva-si fa per dire – nella New York scintillante di film, vetrine e “dream” americano. Una favola per la pubblicità, una vita durissima per i nostri nonni. Di cui ci siamo tranquillamente dimenticati, chiudendo superbamente oggi agli immigrati e trattandoli talora da esseri inferiori, di fatto.
Succedeva così a Napoli nel 1949 quando due ragazzini senza famiglia in una città povera, disastrata e sovraffollata si imbarcano nella Victoria come clandestini, vengono protetti dal burbero comandante e si ritrovano davanti alla statua della Libertà che la bambina scambia per la Madonna di Pompei…
I due bambini si cercano, si perdono, si ritrovano nella confusione di una metropoli che li stordisce e li attira, conoscono la piccola Napoli americana, lei ritrova la sorella arrestata per omicidio e processata in pubblico. Fuga, viaggio, disorientamento, rinascita. Già, perché il furbo e buono comandante Garofalo (un robusto Pierfrancesco Favino), è un uomo di cuore che aiuta a riprendere vita e speranza ai due ragazzini, Celestina (Dea Lanzari) e Carmine (Antonio Guerra, perfetti).
È solo una favola questo film familiare, tratto da un racconto inedito di Federico Fellini e Tullio Pinelli? Oltre la ricostruzione ambientale e costumistica perfetta che ci immerge nel mondo italo-americano di quegli anni, oltre l’interpretazione squisita degli attori piccoli e grandi e la regia misurata tra favola, fantasia e commozione sincera, il racconto tocca per la sua verità.
È la storia di una orfanezza dura, di una povertà ferita, ma anche di una tenacia nel voler vivere che unisce i poveri ragazzini napoletani spaesati nel mondo a rovescio quale è quello americano in confronto a quello che hanno lasciato e in cui han dovuto crescere in fretta, come Carmine che ruba per fame una torta…
È un film drammatico in cui la piccola Celestina si dispera, vorrebbe morire, ma anche suscita speranza in un futuro tutto da scoprire. Ed infatti il finale è giustamente “aperto”.
Dal buio alla luce, dalla morte alla speranza: è in fondo sempre il messaggio del cinema di Salvatores.
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