Mille volte Ucraina
Ricevo un whatsapp da un amico ucraino che mi commuove, anche per i tanti articoli scritti in questi due anni, anzi quasi tre, dalla dichiarazione di guerra da parte di Mosca: «Oggi sono passati 1.000 giorni dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina. 1.000 albe senza riposo. 1.000 notti interrotte da sirene ed esplosioni. 1.000 momenti in cui la paura ci ha sfiorato, ma la speranza ci ha rialzato. In questi giorni difficili, sapere di avere la tua vicinanza e il tuo supporto mi ha dato forza. Sei stato un rifugio di calore e speranza per me, un esempio di vera solidarietà». Mi ha commosso, sapendo che, al di là delle letture politiche, delle dichiarazioni d’intenti, delle armi vendute e di quelle inventate, delle tragedie personali e collettive, dell’incertezza sul futuro, la realtà è che nella guerra la gente soffre, soffre sempre. E che non ci saranno mai vincitori in una guerra, anche se il torto è manifestamente da una parte.
Al solito, la sfera di cristallo anche questa volta serve a poco nelle faccende belliche. Anche per la Seconda guerra di Ucraina, cominciata nell’inverno 2022, che ha fatto seguito alla prima, di guerra, cominciata nel 2014, dopo la destituzione di Yanukovich o le rivolte popolari della Piazza Maidan. Nei due casi da parte russa c’era Vladimir Putin, che proprio nelle ultime ore ha scagliato la più violenta offensiva nell’aria verso una gran quantità di siti ucraini. L’offensiva ha fatto seguito all’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, che in campagna elettorale aveva più volte dichiarato che con lui alla presidenza la guerra del Donbass sarebbe finita in uno scrocchiare di dita; più volte sostenuto dal suo compare Elon Musk che, lo si ricorderà, all’inizio della guerra aveva offerto agli ucraini la sua rete di satelliti Starlink mutando però poi atteggiamento nei confronti della Russia, probabilmente anche programmando di scendere in campo con The Donald. Vedremo come andranno le cose. Se la pace arriverà, sarà per la stanchezza generale, non solo e non tanto per i meriti della diplomazia del presidente di ritorno alla Casa Bianca.
Si nota in effetti una stanchezza generale dalle due parti, nonostante le mosse a sorpresa, nonostante l’escalation finale determinata dall’autorizzazione di un Biden in uscita a usare armi statunitensi contro il territorio russo, e non solo in quelli ucraini occupati dalla Russia. Una mossa che potrà modificare di qualche incollatura la distanza tra i contendenti, ma che non sarà comunque risolutiva. Bisognerà arrivare a un cessate il fuoco, a trattative, a una pace il più possibile giusta. Che non sarà mai giusta integralmente, perché la politica è l’arte del compromesso, e il compromesso è l’anima dei trattati di pace. Poi dovranno venire le opere di ricostruzione, di riconciliazione e, se possibile, di perdono, come in tutte le guerre.
Dunque, tutti sono stanchi di una guerra che non doveva mai cominciare. È stanca l’Ucraina, che ha perso centinaia di migliaia di suoi giovani e che si ritrova con un territorio gravemente inficiato nelle infrastrutture essenziali. Stanchi sono i russi, che debbono ricorrere ai soldati nordcoreani per tamponare le falle di un esercito che fatica a rimanere coeso nonostante le forze estremamente superiori di tre o quattro volte rispetto a quelle ucraine. Le motivazioni per la guerra in Russia sono al più basso livello, e questo i governanti lo sanno, anche perché i numeri dell’economia reale, non di quella bellica, sono in forte calo. Sono stanchi gli europei, che hanno seguito la mossa degli Usa e non sono riusciti a imporre una visione meno manichea degli eventi e delle responsabilità. Sono stanchi i cinesi che non vogliono distrazioni nella loro grande conquista economica del pianeta.
Sono stanche, soprattutto, le persone che sono rimaste vittime della guerra, vite impossibili, lutti a ripetizione, abbandono delle proprie case, difficoltà di approvvigionamenti, freddo, tanto freddo. Sono stanche, esauste, le madri dei morti e dei feriti, dei soldatini mandati al fronte come carne da macello, sono stanche le mogli delle vittime che debbono ricostruirsi una vita potabile. E non bastano i soldi dati dai governi alle famiglie delle vittime per eliminare il dolore e il lutto.
Sono pure stanchi, ma non rinunciatari, coloro che hanno da sempre lavorato per la pace, gridando alto e forte che la guerra è naturalmente stupida. Ora ci si rende conto che nessuno può vincere la guerra, ma loro, chi voleva la pace, lo diceva sin dall’inizio delle ostilità. Mille giorni di guerra. Quanti ce ne vorranno ora per la pace?