Mio figlio, una notte

Una storia toccante di un rapporto da ricostruire attraverso vicinanza e parole che sopravvivono al tempo

Insegno “religione” in un istituto superiore. Con tutte le classi quinte partecipo al cineforum di un thriller psicologico famoso. Intervengo nei commenti al film e vengo perfino applaudito. Forse è questo applauso a suscitare la reazione di una collega nota per la sua impassibile e severa signorilità, che oltre a demolire ogni mia asserzione, mette in guardia gli studenti da un professore con idee “pericolose”.

Non è facile incontrarla poi nella sala dei professori, ma con coraggio e libertà le chiedo della salute, della famiglia… Un giorno mi accenna a problemi con un figlio adulto entrato in un insospettabile giro di “strani” amici. Non dice di più, ma noto che, nonostante la cura della persona e dell’abbigliamento sia sempre impeccabile, i suoi occhi tradiscono smarrimento e bisogno di aiuto.

Per qualche giorno non si presenta a scuola e si dice che sia malata. Quando torna, la invito ad un caffè, vicino alla scuola. Appena si libera dal ricco foulard che l’ha coperta dal vento e dagli sguardi, guardando soltanto il cappuccino e il cornetto, comincia a dire: «L’altra notte mio figlio è rientrato stanco e disfatto. Non era ubriaco e non mi è sembrato drogato. La cena era fredda da un pezzo ma non l’ha guardata neppure. Stavolta però non mi ha cacciata via, come aveva fatto altre volte infastidito dalla mia presenza. Si è sdraiato nel letto vestito e io mi sono seduta accanto a lui. Non avevo parole e forse non erano necessarie. Lui si rigirava sul letto. Smaniava. Gli ho accarezzato la fronte e lui non ha allontanato la mia mano. Quando ha sembrato trovare una certa pace, gli ho preso la mano. Lui me l’ha stretta, come quando da bambino aveva paura. Ho cominciato a dire le frasi antiche di quanto fosse importante per me, per il padre, per la sorella. Non ricordo quali pensieri mi guidassero in quel momento. Soltanto una cosa ricordo, mio figlio aveva bisogno della mia vicinanza per ritrovare forze che non aveva più. Nei giorni seguenti mi sono messa in malattia: ero malata del male di mio figlio. Stavo accanto a lui e lui accoglieva la mia vicinanza. Quei giorni pregni di silenzi e tenerezza, hanno guarito il nostro rapporto. Più volte mi sono tornati in mente certi momenti in cui lui, neonato, si calmava soltanto perché gli parlavo. Le parole non avevano senso ma erano legate l’una all’altra da un infinito amore».

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons