È tornato il Gladiatore
Ci sono Paul Mescal, Denzel Washington, Pedro Pascal e Connie Nielsen, un gran cast nell’ultimo film del vecchio Scott. Esce giusto vent’anni dopo il primo, premiatissimo, “Gladiatore”, quello con Russel Crowe, che il nuovo prodotto cita qua e là. È un film prepotente come ambientazione, spettacolarità, battaglie, duelli nell’arena – un Colosseo con battaglie navali – e sangue, per oltre due ore. Fantasia molta, verità storica poca. Che importa di imperatori come Caracalla e Geta? Sono l’immagine di un potere corrotto e devono per forza, pur fratelli, tentare di farsi fuori. E poi il Colosseo, il Foro Romano, il Palatino e l’arena dei gladiatori, gli schiavi e lui, il generale eroico Marco Acacio (Pedro Pascal) che ha sposato la vedova del primo gladiatore, Lucilla (Connie Nielsen), che ha abbandonato il figlio piccolo Lucio, ora diventato il guerriero numida Annone (Paul Mescal).
Ce n’è abbastanza: una madre che ritrova un figlio che non la vorrebbe, un generale che crede nel mito di Roma, una città in preda a imperatori folli, e un ex gladiatore diventato importantissimo, Macrinus (Denzel Washington), tanto da voler ottenere il trono con una astuzia diabolica. Storia antica che guarda all’oggi, alla politica scorretta, all’ambizione sfrenata e ai vinti perseguitati dalla vita.
Così è Lucio fin dall’inizio, rabbioso e amareggiato, che diventa la star dello stadio, feroce più delle belve ma desideroso di affetto, costretto a duellare da solo e poi con gli amici gladiatori davanti a una folla enorme, istupidita dal sangue e dall’odore di morte. Perché la morte aleggia cupamente nel film, nonostante gli splendori dei costumi, degli ambienti, dei desideri. Una sorta di “Trono di spade” ambientata nella vecchia Roma? Un poco sì. Ma con la Roma sognata e amata nella sua decadenza dagli americani, fatta spettacolo roboante di musiche e di scene di massa.
Che dire di questo filmone che cerca di darsi anche un tono politico e sociale parlando di democrazia, di libertà, di lotta contro il potere degli egoisti. Lo spettacolo, è vero, funziona, raccontando la storia a modo suo. Il ritmo è rapido, gli interpreti eccellenti – Denzel Washington “cattivo” primeggia – la fotografia accurata. Sangue, potere, lotta, congiure. Scorre il film, ma è lontano dal primo del 2024, è più cupo alla fine, più prevedibile anche, con certo un futuro sequel. Sarà candidato agli Oscar? Tutto è possibile, magari per Mescal e Washington, «Ma forse è meglio solo godersi lo spettacolo».
Una povera Cenerentola
Anora, di Sean Baker, ha vinto a Cannes la Palma d’oro. La spogliarellista Anora, figlia di una generazione che non ha futuro se non vendendosi nel presente, incontra il figlio di un magnate russo, si innamora, lo sposa. Ma i genitori di lui li separano con la violenza. Lei deve tornare nel suo mondo.È una Cenerentola di oggi che si espone a tutto per vivere un sogno di un (ir)realizzabile amore. Perché sembra condannata a essere più una cosa, per i ricchi, che una persona. Divertente ma anche crudele, satirico e spietato, notturno, il film è una fiaba sui giovani che non hanno un futuro. Anora prova a vivere, a vincere la solitudine nel mondo squallido del sottobosco americano rivisitato senza veli, dove il sogno è una pura fantasia. Vincerà L’Oscar?
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