I grandi concerti romani

Al Teatro dell’Opera la Philarmonia Orchestra e a Santa Cecilia il Beethoven del duo Emelyanychev-Andsnes. Bella musica
Philharmonia Full Orchestra credit Luca Migliore

Era atteso il direttore finlandese Esa-Pekka Salonen in tournée con la Philarmonia Orchestra, una delle migliori compagini del mondo, nata nel 1945 e diretta a suo tempo da personalità come Karajan, Klemperer, Muti, Sinopoli, e così via. Una macchina da guerra musicale, unitissima, dal suono compatto e bellissimo in ogni settore, gioiosa nel far musica insieme, e non per una posa snobistica o commerciale. Il direttore finlandese  energico, suadente e preciso ha dato  vita- è il caso di dirlo -, dapprima al Concerto per orchestra di Béla Bartòk. Un brano che ha un certo sapore americano nel suo scorrere chiaro e a tratti trionfante, eseguito nel 1944 per la prima volta a Boston dove viveva il musicista ungherese. Musica palpitante, piacevole, dove l’orchestra si compiace di far vibrare ogni singolo settore da solo e poi insieme, creando una atmosfera, è il caso di dirlo, molto luminosa.

Poi ovviamente tocca ad un compositore finlandese, cioè Jan Sibelius con la sua Sinfonia n. 1, gigantesca, estesa, flessuosa. Una meraviglia di note nate nel 1898 e che avvolgono l’ascoltatore con la ricchezza sonora. Bisogna pur dire che una compagine come la Philarmonia esegue tutto con passione, e con la ben visibile disciplina  e che anche il direttore serio si scioglie davanti al pubblico romano con due bis per poi chiudere sorridendo. Dunque, anche questi nordici “freddi” a Roma si sciolgono, e capita pure a Bartòk e a Sibelius.

Questo accadeva il 7 novembre, il 9 a Santa Cecilia l’orchestra dell’Accademia tornava al passato con il Beethoven del Quinto Concerto “Imperatore” (titolo non dato dall’autore) per pianoforte e orchestra. Un monumento di bellezza, di forza,di virtuosismo anche folle (si pensi al Rondò conclusivo tanto innovativo e libero).

L’elasticità del complesso ceciliano,  la sua cantabilità, la sensibilità è splendida  e credo se ne sia accorto il giovane direttore russo Maxim Emelyanychev, esperto di musica barocca, attento ai dettagli con una gestualità molto presente, evidenziando gli ottoni rispetto agli archi, e complice del pianista con precisione. Leif Ove Andsen è un virtuoso eccellente nel primo tempo magniloquente, sognante nell’indugiante, estatico Adagio un poco mosso- di notevole bellezza -,  rapidissimo nelle scorribande del Finale. Successo immediato.

E trionfo della musica quando è eseguita con calore da due compagini diverse ma simili per passione e da artisti differenti, eppure tutti “affondati” nelle opere dei compositori con dedizione.

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