Debito pubblico, il grande tabù delle elezioni Usa
In vista delle elezioni di novembre Kamala Harris e Donald Trump si sono confrontati duramente su tutto: guerre, armi, terrorismo, inflazione, aborto, immigrazione, ecc. Non hanno avuto timore di affrontare tutti gli argomenti anche i più conflittuali e scabrosi. Tranne uno: il debito pubblico. La parola “debt”, debito non è stata mai menzionata da entrambi, nemmeno nell’unico dibattito televisivo. Perché?
Perché sia il governo Trump che quello Biden-Harris sono stati entrambi responsabili di una crescita straordinaria del debito pubblico per coprire gli esorbitanti deficit di bilancio. Ma la vera bomba non viene solo dal passato, è in arrivo ad alta velocità negli anni immediatamente prossimi.
La conferma viene dal Congressional Budget Office (Cbo), l’organismo indipendente e bipartisan del Congresso che ha il compito di studiare gli andamenti economici e finanziari degli Usa. Esso ha analizzato in particolare il debito pubblico federale, held by the public, cioè detenuto da banche e corporation nazionali e da governi e banche stranieri. Omette nel suo studio quel debito pubblico, intragovernmental holding, detenuto da fondi speciali legati al governo, che oggi valgono almeno un altro 20% del pil nazionale.
Il Cbo riporta che negli anni ’80 e ’90, il rapporto debito pubblico federale/pil degli Usa era di circa il 39%; nel 2010 era cresciuto fino al 60,6%. Si prevede che detto debito crescerà costantemente per decenni, fino a eguagliare la produzione economica aggregata entro il 2025, salendo al 122,4% del pil entro il 2034. Oggi l’ammontare del debito federale è circa 28.000 miliardi di dollari e sarà di 142.000 miliardi nel 2054, pari a 166%del pil.
La ragione sta ovviamente nel protrarsi per decenni dei sempre crescenti deficit di bilancio. Tra il 1974 e il 2023, le entrate fiscali sono state in media il 17,3% del pil, mentre la spesa pubblica è stata in media il 21%. Entro il 2034, il Cbo sostiene che le entrate fiscali saliranno al 18% del pil, ma che la spesa pubblica si aggirerà intorno al 24,9%. In particolare il costo degli interessi sul debito federale si calcola che esploderà: dall’attuale 3,1% del pil al 6,3% nel 2054.
È doveroso rilevare che le stime in questione, fatte nella speranza di una linearità degli andamenti, non tengono conto di eventuali choc di carattere finanziario o geopolitico. Il crescente debito pubblico è quindi attribuibile alle spese, che dovrebbero crescere più rapidamente delle entrate. Per il prossimo decennio si ipotizza che solo tre categorie di spesa cresceranno: previdenza sociale, Medicare (assistenza sanitaria) e pagamenti degli interessi sul debito ,che, si stima, supereranno il bilancio della difesa già quest’anno. Per tutto il resto, dall’esercito all’istruzione, dalla ricerca scientifica ai parchi nazionali e alle infrastrutture, le spese governative dovrebbero diminuire.
È perciò evidente che i tagli delle tasse sono soltanto delle mere promesse elettorali o tentativi di “comprare “ temporaneamente il consenso di segmenti prescelti della popolazione. Qualsiasi governo americano, così come ogni altro governo del mondo, sarà di fronte a un grande dilemma: tagli, soprattutto delle spese sociali, nel tentativo di ridurre gli squilibri di bilancio o continuare con la politica dei deficit crescenti e quindi con l’aumento dell’indebitamento?
Un deficit in forte espansione, però, potrebbe portare a una brusca crescita dell’inflazione, spingendo la Federal Reserve ad aumentare i tassi di interesse. Con ovvi effetti negativi sulla tenuta del dollaro come moneta di riferimento globale.
Secondo il Cbo ogni dollaro di aumento del deficit federale riduce gli investimenti privati di circa 33 centesimi. Ciò comporta un minore stock di capitale disponibile, incidendo negativamente anche sui salari e sull’occupazione.
Per evitare effetti destabilizzanti dei tagli di bilancio gli Usa hanno una sola la strada, definire una grande riforma interna e internazionale del sistema finanziario, liberato dalla speculazione.
Servirà inevitabilmente tornare a favorire lo sviluppo dei settori, quelli tradizionali e quelli innovativi, dell’economia reale, attraverso il rilancio delle strutture moderne del credito produttivo. Sono politiche che in passato furono già sperimentate con successo dai padri fondatori degli Stati Uniti. Si tratta di produrre maggiore ricchezza negli Usa e nel mondo, mirata ai bisogni moderni delle popolazioni e alle sfide tecnologiche. Non alle guerre che distruggono ricchezza oltre che vite umane.