Migranti in Albania, il Tribunale non convalida il trattenimento

Secondo il Tribunale di Roma, il Paese di provenienza dei migranti non può essere definito sicuro se anche solo alcuni parti del territorio e alcune categorie di persone, siano luoghi o vittime di persecuzioni, violenze, trattamenti disumani, torture, conflitti armati. Annunciati ricorsi da parte del ministro Piantedosi e possibili modifiche legislative da parte del governo
Il gruppo di migranti destinato al centro di accoglienza allestito a Shengyin in Albania dal governo italiano, 11 ottobre 2024.EPA/MALTON DIBRA

È cominciata con 5 fallimenti l’operazione Albania del governo di destra-centro. Un vero naufragio, tanto per restare in tema, finito (almeno per ora) con l’accompagnamento in Italia degli unici 12 migranti finiti nella rete e portati nei campi di Schengjin e Gjiader.

Ma iniziato mesi fa con una serie di ritardi e annullamenti. Il primo è quello dell’apertura dei due centri che in realtà ne contengono 5: a Schengjin c’è l’hot spot, per l’identificazione e le prime procedure, a Gjiader c’è il centro di trattenimento, il cuore della struttura, dove i migranti devo attendere la risposta alla domanda d’asilo, c’è poi un Cpr per i migranti destinati ai rimpatri e infine un carcere.

Doveva essere pronto in primavera, poi è slittato all’estate e alla fine “inaugurato” il 15 ottobre (ma completato solo al 50%) con l’arrivo di 16 immigrati, 10 bengalesi e 6 egiziani, trasportati dal pattugliatore Libra della Marina militare. E proprio l’utilizzo di una nave militare racconta di un altro fallimento.

Il 30 maggio il ministero dell’Interno aveva pubblicato una “consultazione preliminare del mercato” per fornire una o più navi per «il servizio di trasporto di persone migranti dalle acque internazionali del Mediterraneo centrale, presumibilmente a circa 15/20 miglia nautiche a sud-sud ovest dall’isola di Lampedusa, al porto di Shengjin in Albania».

Un servizio che doveva iniziare il 15 settembre e durare 90 giorni. Ricalcando le “navi quarantena” durante la pandemia. Costo 13 milioni e 500 mila euro, dai fondi del Ministero. Le società interessate avrebbero dovuto presentare la documentazione entro il 25 giugno ma non è arrivata nessuna offerta. Intanto la data di inizio del servizio è passata e così si dovuti ricorrere alla nave militare, pur di iniziare l’operazione. Con molte e gravi differenze.

Nel documento di 5 mesi fa erano richieste «cabine a uso doppio, comprensive di locale igiene indipendente». Dunque un traghetto. Ma il pattugliatore Libra non ha cabine, se non quelle degli ufficiali, mentre i marinai dormono a turno in camerate coi letti a castello.

E comunque l’equipaggio è composto di soli 60 uomini. Dove mettere i 200 migranti previsti a ogni viaggio? All’aperto? Ma gli spazi sulla nave militare non ci sono neanche per le altre attività che era previsto si svolgessero a bordo. Si parlava di «aree comuni dotate di servizi igienici» con «locali da adibire a esigenze di servizio (screening migranti, camera di sicurezza) ad infermeria, ad aree tecniche (magazzino, lavanderia)».

Per questo oltre agli immigrati erano previste 100 unità di personale. Che sicuramente sulla nave militare non avrebbero spazio per operare. Ma l’operazione appare sempre più come un’operazione di polizia. Per anni lo slogan della destra sugli immigrati è stato “blocco navale”, con le varianti “porti chiusi” e “difesa dei confini nazionali”. Impossibili sia da un punto di vista giuridico che operativo.

Così il “protocollo” con l’Albania è sembrata la soluzione. Quella che si è svolta nella notte di domenica a 15-20 miglia a sud di Lampedusa è stata la prima applicazione. In 16, egiziani e bengalesi, tutti maschi, caricati su nave Libra, destinazione Albania. Gli altri, di altre nazionalità, le donne, i bambini, i “fragili”, salvi a Lampedusa.

In realtà tutti erano stati salvati dalle motovedette della Guardia di Finanza mentre a bordo di insicuri barchini tentavano il viaggio della speranza partendo da luoghi di violenze come Libia e Tunisia. Non salvati dalla Guardia costiera perché quella della notte di domenica non era un’operazione Sar, ricerca e soccorso, ma, appunto, un’operazione di polizia, law enforcement. In acque internazionali, non per prevenire tragedie ma perché solo lì, secondo le norme europee, si può fare un’operazione del genere. Lontano dalle coste italiane da “difendere” ma anche da occhi indiscreti. E lo si fa di notte. Di nascosto.

Nessun comunicato ufficiale sul primo “viaggio” in Albania. Nulla. Così in 16 hanno rimediato un “passaggio” a bordo di una nave militare, con cannone e mitragliere. Mentre nelle stesse ore in 238 hanno raggiunto Lampedusa (altri mille lunedì). Anche egiziani e bengalesi, o di altri Paesi cosiddetti “sicuri”. Nella rete del viaggio/deportazione sono rimasti pochi sfortunati, “colpevoli” solo di essere nati nel Paese sbagliato, “Paese sicuro”.

Eppure tutti quelli provenienti dai cosiddetti “Paesi sicuri”, ben 22 quelli stabiliti dal Governo, saranno sottoposti allo stesso iter accelerato per la domanda di asilo e nel frattempo trattenuti. Ma in Italia, e se ne occuperanno i magistrati siciliani che il ministro dell’Interno Piantedosi accusa di fare “sentenze ideologiche” perché danno ragione ai migranti, bocciando il trattenimento.

Mentre dei 16 finiti in Albania si sono occupati i magistrati romani, che però, lo spiegheremo più avanti, non si sono comportati diversamente dai colleghi siciliani, dando torno al Governo.

Insomma la montagna partorisce solo 16 topolini sfortunati che poi, appena sbarcati in Albania, si riducono a 12 perché ci si accorge che 2 erano minorenni e 2 soggetti fragili, probabilmente vittime di torture e altre violenze. Evidentemente il primo screening a bordo era stato fatto in modo superficiale: la fretta, la mancanza di personale e strumentazioni. Oppure la necessità “politica” di portare comunque qualcuno in Albania. Intanto i 4 migranti vengono fatti risalire sulla Libra e portati a Bari, accolti e “liberi”.

E veniamo all’ultimo atto (per ora) di venerdì. In due tempi, previsti e prevedibili. Come prevede la norma sulla procedura accelerata per la richiesta di asilo di persone che provengono da Paesi cosiddetti “sicuri”, questi immigrati vengono “fermati” e chiusi in appositi centri. Un trattenimento che deve poi essere confermato dal Tribunale. Questo era previsto per venerdì mattina, ma il governo ha anticipato la decisione inviando in Albania la Commissione per il diritto d’asilo. Un evidente tentativo per prevenire una possibile decisione negativa della magistratura. E, infatti, la Commissione in poche ore ha respinto tutte le domande, senza particolari approfondimenti personali.

È bastata la provenienza, appunto, da 2 Paesi “sicuri”. Ma proprio da questo è arrivata invece la bocciatura del Tribunale di Roma. I magistrati spiegano che «il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture e aree albanesi equiparate alle zone di frontiera e di transito italiane è dovuto all’impossibilità di riconoscere come “Paesi sicuri” gli Stati di provenienza delle persone trattenute».

Una decisione presa «in applicazione dei principi, vincolanti per i giudici nazionali e per la stessa Amministrazione, enunciati dalla recente pronuncia della Corte di giustizia della Ue». Una pronuncia nella quale la Corte ha stabilito che un Paese non può essere definito sicuro se anche solo alcuni parti del territorio e alcune categorie di persone, siano luoghi o vittime di persecuzioni, violenze, trattamenti disumani, torture, conflitti armati.

E a proposito del Bangladesh cita quanto scritto dal Ministero degli Esteri, che lo ha proprio recentemente definito Paese sicuro «ma con eccezioni per alcune categorie di persone: appartenenti alla comunità LGBTQ+, vittime di violenza di genere incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, accusati di crimini politici, condannati a morte, sfollati climatici».

Mentre per l’Egitto le eccezioni, sempre secondo la Farnesina, riguardano «oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione per motivi politici».

Insomma non si può applicare automaticamente il concetto di Paese sicuro, ma vanno analizzate le singole storie personali. Cosa che non avviene con la procedura accelerata, ancor di più se nelle condizioni albanesi, senza avvocato, senza mediatori, senza possibilità di contattare i familiari (i cellulari sono stati sequestrati).

Così il Tribunale ha “bocciato” i trattenimenti, come avevano già fatto i colleghi siciliani. E i 12 devono essere “liberati”. Ma, concludono i magistrati romani, «lo status libertatis può essere riacquisito soltanto per il tramite delle Autorità italiane e fuori del territorio dello Stato albanese, delineandosi di conseguenza, in assenza di alternative giuridicamente ammissibili, il diritto del richiedente protezione a riacquisire lo stato di libertà personale mediante conduzione in Italia».

Così i 12 saranno imbarcati su una motovedetta della Guardia costiera e portati anche loro in Puglia, esattamente nel Cara di Bari, non un Cpr come avrebbe voluto il Governo. E lì potranno ricominciare l’iter della domanda d’asilo con la procedura ordinaria, con l’assistenza di un avvocato e soprattutto in condizioni di libertà. In attesa dei ricorsi (annunciati dal ministro Piantedosi) e addirittura di modifiche legislative (annunciate dalla premier Meloni), resta la spesa per questo plurifallimento. Più di 800 milioni per strutture non finite, viaggi falliti, container nuovamente vuoti e probabilmente ancora per molto.

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