America Latina: erosione silenziosa della democrazia
L’espansione del potere esecutivo in America Latina non è un fenomeno nuovo, ma l’attuale rinascita dei presidenzialismi ha posto l'”esecutivo” in una posizione privilegiata, capace di modellare l’esercizio del governo “su misura”. Un esempio evidente di questo è stata la rielezione di Nayib Bukele in El Salvador, un paese dove la rielezione non è consentita. Nonostante ciò, Bukele si è dichiarato vincitore prima che il Tribunale Supremo Elettorale, l’autorità competente, emettesse una dichiarazione. Le sue parole sono state categoriche: «Il risultato c’è già, ora dobbiamo solo contare i voti».
Ancora più evidente è il caso di Nicolás Maduro in Venezuela, che si è autoproclamato presidente attraverso la coercizione del Tribunale Supremo, dimostrando come la manipolazione dei poteri dello Stato possa minare la legittimità democratica.
In Colombia, il presidente Gustavo Petro ha adottato una strategia particolare: convocare manifestazioni pubbliche per fare pressione sulle Alte Corti affinché confermino progetti di legge, anche quando questi non siano conformi alla Costituzione. Un esempio è stata la “manifestazione dei capelli grigi”, il 17 settembre scorso, quando Petro ha dichiarato: «Speriamo che questa Corte sia capace di aprire un varco tra la terribile selva della politica tradizionale che si sta configurando adesso». Sebbene sia normale che i presidenti difendano le loro riforme davanti ai tribunali costituzionali, solitamente lo fanno tramite avvocati e atti amministrativi, non convocando manifestazioni davanti ai tribunali.
In Perù la situazione è ancora più critica, con un conflitto permanente tra il governo e il Congresso. Dal 2018, sono stati eseguiti sei procedimenti di destituzione parlamentare contro tre presidenti, creando un contesto di ingovernabilità costante.
In Messico, la presidente Claudia Sheinbaum ha apertamente criticato la Corte Suprema per aver esaminato la Riforma Giudiziaria, accusandola di “provocare il governo”. Tale riforma mira a far sì che il potere giudiziario venga eletto direttamente dal popolo, con una massiccia convocazione per coprire circa 7 mila posti di giudice. Questo approccio, pur presentato come una democratizzazione del sistema giudiziario, solleva seri interrogativi sull’indipendenza di tale potere.
Un altro esempio di interferenza dell’esecutivo si può osservare in Costa Rica, dove il presidente Rodrigo Chaves ha promosso la “Legge Jaguar per lo Sviluppo”, una riforma alla Legge Organica della Corte dei Conti della Repubblica. Questa iniziativa mira a modificare le competenze di controllo preventivo ed efficienza, il che, nella pratica, permetterebbe di eludere certi controlli sulla contrattazione pubblica.
L’elenco di casi potrebbe continuare, nazione per nazione, riflettendo come la fiducia nelle istituzioni pubbliche stia progressivamente erodendosi. L’espansione dell’esecutivo a discapito degli altri poteri fomenta non solo la polarizzazione sociale, ma anche la violenza politica. La Commissione Interamericana dei Diritti Umani (Cidu) ha avvertito che «il maggiore pericolo attuale per le democrazie della regione non è una rottura improvvisa dell’ordine costituzionale, ma un’erosione graduale delle garanzie democratiche che potrebbe portare a un regime autoritario, sebbene eletto tramite elezioni popolari».
Di fronte a questo scenario, è fondamentale che gli attori politici e sociali si assumano la propria responsabilità, mettano da parte la retorica polarizzante e promuovano un ambiente di rispetto tra i poteri pubblici. Ciò che è in gioco è la sopravvivenza stessa della democrazia.