Ministri giornalisti

Dopo Sangiuliano tocca a Giuli: da un uomo di televisione a un altro. Caratteri diversissimi, con un dubbio: uomini dell’informazione sono capaci di tenere in mano la cultura italiana?
Il nuovo ministro della Cultura, Alessandro Giuli (a destra), alla cerimonia di giuramento nella mani del presidente Mattarella (a sinistra). Foto Ufficio Stampa del Quirinale via EPA/PAOLO GIANDOTTI / QUIRINALE PALACE PRESS OFFICE / HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Non è che il ministro Sangiuliano avesse brillato nel far sfoggio di un patrimonio culturale profondo ed esteso: i colleghi lo aspettavano al varco, si ripassavano discorsi e interventi del ministro per tirarne fuori le gaffe del giorno e riciclarle sui social. Ci si è accorti che il problema emergeva quando il ministro non seguiva più i testi preparati dalla sua segreteria e parlava a braccio, segno inequivocabile di una certa leggerezza del suo patrimonio culturale.

L’abbiamo visto duellare a distanza col suo vice Sgarbi, un istrione, pure lui d’altronde costretto a dimettersi, perdendo sempre dinanzi a un critico d’arte che di conoscenze storiche e artistiche ne ha in abbondanza. È poi arrivata la vicenda poco edificante di Sangiuliano con la Boccia, una donna arrivista dai metodi a dir poco spregiudicati. Non è che il nostro Paese ci abbia fatto una bella figura, e nemmeno il governo della Meloni, che tuttavia ha chiuso rapidamente il caso derubricandolo a «doloroso caso privato», anche se qualche dubbio permane, ci penserà la Corte dei Conti a sciogliere l’enigma.

E com’è che la (il?) presidente del Consiglio ha tirato le castagne dal fuoco? Sostituendo immediatamente Sangiuliano con Giuli, giornalista per giornalista, diversissimo dal predecessore ma accomunato dalla sua accondiscendenza, se non la sua devozione, nei confronti della leader della destra di Fratelli d’Italia.

Sorgono vari dubbi per questa nomina e sulla gestione del ministero, non tanto sulla persona di Giuli – che non è una costola di Sangiuliano, che pur non essendo laureato parla correntemente in latino, che nel suo pantheon ha una profonda attenzione per la Dea Concordia, e che ha diretto egregiamente un grande museo come il Maxxi –, ma sull’opportunità di nominare dei giornalisti in un ruolo tanto delicato come il custode del patrimonio culturale italiano.

Intendiamoci, il giornalismo in Italia è spesso una via per far carriera in politica, non solo a destra, bastino i casi di Spadolini, Veltroni e Sassoli, e l’attuale ministro degli Esteri è anch’egli un giornalista; la stessa Meloni ha in tasca la tessera da giornalista. Si nota, in ogni caso, che il passaggio dal giornalismo alla politica in Italia è più frequente che negli altri maggiori Paesi europei. Perché?

Un primo elemento può essere cercato nel progressivo avvicinamento tra cultura e informazione, che da alcuni decenni sta diventando una prassi un po’ ovunque nel mondo, grazie anche alla rivoluzione digitale, come testimonia il fatto che spesso e volentieri si parla ormai di ministeri della Cultura “e” dell’Informazione. La cultura “pop”, cioè popolare, spopola, e i veicoli per la sua diffusione sono ovviamente i giornalisti. Si capisce pure come il giornalista sia un professionista che calpesta i corridoi dei Palazzi, sa parlare (di solito), non ha paura delle telecamere, rapidamente fa sintesi e le argomenta…

C’è però una prerogativa – che non è un’esclusiva italiana, ma che in Europa è poco praticata –, ed è la dipendenza di testate e giornalisti dai partiti politici, o perlomeno dalle loro aree di influenza, al punto che si fa carriera in certi ambienti solo se si è schierati politicamente. Da noi, purtroppo, non è radicata la doverosa indipendenza di giornali e giornalisti dalle influenze politiche: l’autocensura dei giornalisti è moneta corrente. È questa la principale ragione per cui l’Italia, nella classifica della libertà di stampa nel mondo redatta da Reporter sans frontières, è in posizione vergognosa, appena al 46° posto, dopo Moldavia e Corea del Sud, Capoverde e Namibia.

Detto ciò, auguriamo un buon lavoro al nuovo ministro della Cultura. Ad maiora!

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