Una rete di amministratori locali per rifare la bella politica

Intervista a Francesco Russo sul percorso che ha portato, a Trieste, oltre 100 amministratori a stringere un patto di collaborazione e aiuto reciproco a partire dalle esigenze reali dei territori e della “povera gente”. I segnali di un nuovo tempo capace di riprendere il percorso sull’esempio sturziano dal basso verso l’alto
Francesco Russo. Foto ufficio Stampa Consiglio regionale FVG

Durante i giorni della Settimana sociale si è svolto a Trieste, nel Palazzo del Consiglio regionale, un incontro tra oltre 100 amministratori locali che hanno deciso di stringere un patto di scambio e condivisione delle esperienze sui temi concreti legati ai territori.

Ne abbiamo parlato con Francesco Russo, vicepresidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, che è stato tra i promotori di questo incontro che ha dato vita ad un percorso destinato a continuare con appuntamenti già in cantiere per il prossimo mese di settembre. Russo è stato senatore del Pd nonché candidato sindaco alle ultime elezioni comunali di Trieste dove ha perso per pochi voti al ballottaggio. Dopo la formazione nella Fuci, ha vissuto, con passione politica, l’intero percorso che parte dalla DC al Partito Popolare fino alla Margherita e infine al Pd.

Come nasce la rete degli amministratori all’interno della Settimana Sociale?
È il frutto di un cammino iniziato all’inizio di marzo 2024 grazie alla disponibilità dei rappresentanti nazionali dei principali movimenti e associazioni laicali che sono venuti a Trieste il 3 e 4 maggio per confrontarsi, proprio in vista della settimana sociale, coinvolgendo diversi amministratori locali. Ne è emerso un dato nuovo che già registriamo nelle nostre comunità e cioè l’esigenza che i cattolici, dopo qualche decennio di timidezza (se vogliamo definirla così), abbandonino il timore legato alla fine del principale partito di riferimento per ritrovare voce collettiva e capacità d’incidere.

In quell’incontro di marzo una serie di amministratori provenienti dall’esperienza ecclesiale e dalla formazione all’interno delle diverse comunità (Azione Cattolica, Acli, Agesci, Movimento dei Focolari, Comunità di Sant’Egidio, Fraternità di Comunione e Liberazione, Rinnovamento nello Spirito, Mcl e altre) hanno deciso di verificare l’ipotesi di una rete in grado di aiutare tutti a sentirsi un po’ meno soli.

Un’esperienza comune a quanto pare…
Già, una percezione per chi sta in prima linea di sentirsi scollegato da quelle comunità che ti hanno formato e da cui tutti ci sentiamo inviati perché facciamo politica proprio in virtù della nostra formazione all’impegno nel mondo. Da qui nasce l’esigenza di ritrovarsi, condividere, anche nelle diverse appartenenze politiche, un percorso e alcuni contenuti. Il livello amministrativo, poi, è quello dove, a differenza delle scelte nazionali, è oggettivamente più facile impegnarsi su alcuni temi che ci possono vedere uniti.

Quindi questa rete essenzialmente è per gli amministratori locali?
Questa rete nasce come esigenza degli amministratori. Durante la settimana sociale abbiamo preso spunto dalla possibilità di avere ospiti in consiglio regionale il presidente, mons. Luigi Renna e gli altri componenti del Comitato Organizzatore, e così abbiamo provato ad invitare una trentina di amministratori individuati proprio alla luce dell’iniziativa di maggio che ha portato la Cei, per la prima volta nella storia, ad invitare ufficialmente come delegati della Settimana sociale alcuni amministratori da tutto il Paese provenienti da differenti formazioni politiche. Alla fine dei 30 invitati iniziali se ne sono presentati 90. E abbiamo scoperto successivamente che ce n’erano anche altri.

Come valutare questo segnale?
Direi che le diocesi, e questo mi pare un elemento molto interessante, hanno in qualche maniera superato un piccolo grande tabù e cioè il timore che l’impegno diretto in politica andasse a macchiare l’appartenenza ecclesiale. È un frutto sicuramente di queste settimane sociali che probabilmente nasce anche dalla modalità in cui queste settimane sono state preparate con un lavoro lungo e approfondito anche sui territori.

Non è un caso che a Trieste si sia lavorato molto con i delegati dentro il centro congressi ma ancora di più nelle piazze della democrazia incontrando i cittadini e, come è stato ricordato nelle conclusioni, moltiplicando almeno per sei il pubblico potenziale di questa settimana.

Una rete di rapporti e confronto dunque, ma come può incidere sulla politica italiana?
La rete nasce sicuramente dagli amministratori, per gli amministratori, ma può estendersi. Infatti rispetto anche all’esperienza storica dei cattolici, questo è un tempo che assomiglia molto a quel fine Ottocento in cui appunto i cattolici e anche i socialisti crearono delle buone opere per venire incontro alle necessità di quelli che La Pira definiva “la povera gente”. E quindi le cooperative, le casse mutue, il mulino condiviso. Da quell’ esperienza di solidarietà nacque e  si formò, una classe dirigente che all’epoca si impegnò nelle amministrazioni locali e poi nelle elezioni per il Parlamento dopo la prima guerra mondiale. Un’esperienza che purtroppo durò poco a causa del fascismo.

Corsi e ricorsi storici?
Credo che questo sia un tempo fecondo per riscoprire l’attualità della lezione neo-sturziana, perché da un lato noi ci misuriamo di nuovo con le attese della povera gente, cioè con  le nostre periferie, le nostre zone interne che presentano delle situazioni di grave disagio, ma riusciamo a pensare anche trasversalmente al mondo giovanile e agli anziani in maniera diversa.

La partecipazione politica è tuttavia in forte crisi però…
Il deficit di credibilità della politica probabilmente oggi si vince non con un di più di riflessione o di scontro dialettico-politico, come ci siamo abituati nei talk show o sui social, ma proprio nel rimettere in gioco delle persone che hanno saputo dimostrare che si possono risolvere i problemi. Si possono avere cose nuove nella vita delle persone, delle donne e degli uomini del nostro Paese e sulla base di queste esperienze concrete si aprono spazi per recuperare anche una disponibilità a partecipare ai momenti elettorali. Perché quando vota meno di uno su due dei nostri concittadini vuol dire che la nostra democrazia è sicuramente malata e questo impegno capillare di testimonianza nei Comuni può essere una risorsa per dare credibilità alla democrazia stessa.

__

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it
_

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons