Chi deciderà il futuro di Joe Biden?

I media, Hollywood, i sondaggi, i donatori, alcuni membri Dem premono perché il presidente lasci la corsa alla Casa Bianca. L’autoritarismo di Trump resta in secondo piano
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quello Usa Joe Biden al meeting NATO al Walter E. Washington Convention Center in Washington, DC, USA, 11 luglio 2024. Ansa EPA/CHRIS KLEPONIS / POOL

Due giovedì, il 27 giugno e l’11 luglio, determineranno chi siederà alla Casa Bianca dopo le elezioni di novembre?  Giovedì 27 giugno il primo dibattito per le presidenziali, in anticipo rispetto ad ogni precedente confronto nella storia elettorale statunitense, ha consegnato agli schermi un presidente americano confuso, smarrito in alcuni momenti, estremamente stanco. Il suo avversario, fisicamente più prestante e telegenico, ha imbonito il pubblico di bugie, minacce, narrative catastrofiche sul futuro e sul presente americano. Gli schermi di CNN hanno assegnato la vittoria a Donald Trump e aperto il sipario su uno scenario non contemplato da Joe Biden: ritirarsi.

Giovedì 11 luglio doveva essere il giorno della riscossa per Biden: una conferenza stampa di oltre un’ora a conclusione del vertice Nato a Washington. Un tu per tu del presidente con chi rappresenta il quarto potere del Paese. Ancora una volta le lucide analisi di politica estera, la sua visione economica, la sua agenda sociale sono state surclassate dalle gaffe. Il presidente americano ha introdotto il presidente ucraino Zelensky come Putin, anche se si è corretto subito dopo e ha scambiato il nome della sua vicepresidente Kamala Harris, con quello del suo avversario, Donald Trump. Il giovedì che avrebbe dovuto segnare la riscossa di Biden, non ne ha sancito neppure la totale sconfitta e l’uscita di scena.  

Da giorni lo chiedono media liberali come il New York Times e conservatori come il Wall Street Journal al presidente di riconsiderare la sua corsa. Alcuni donatori della campagna democratica − Abigail Disney (nipote del cofondatore di Disney), Reed Hastings (cofondatore di Netflix), Stewart Bainum Jr (a capo di una catena di hotel) − hanno chiesto a Biden di lasciare e lo stesso ha fatto in uno struggente editoriale sul Times l’attore George Cloneey: «Adoro Joe Biden. Come senatore. Come vicepresidente e come presidente… Negli ultimi quattro anni ha vinto molte delle battaglie che ha dovuto affrontare. Ma l’unica battaglia che non può vincere è quella contro il tempo». Una battaglia da cui esce sconfitto anche Donald Trump, che se dovesse vincere, sarà il più anziano presidente della storia americana a giurare sulle scale del Campidoglio, teatro dell’assalto del 6 gennaio 2021, aizzato anche dalla sua retorica. Infatti sul tema invecchiamento il tycoon tace perché il boomerang si potrebbe rivoltare anche contro di lui, mentre invece i suoi post non tacciono sulle gaffe del suo avversario.

Le gaffe di Biden sono state ampiamente ridicolizzate e diffuse ben oltre le bassezze e l’incoerente torrente di falsità pronunciate regolarmente da Donald Trump. Poche righe sono state riservate al prolisso e sconclusionato comizio in New Jersey, dove le folle non erano tali e volevano lasciare la spianata prima della conclusione, già stufe di sproloqui e iperbolici annunci, dopo 30 minuti. Economisti e politologi promuovono l’America di Biden, un ottantunenne che ha convinto un Congresso polarizzato a votare investimenti che determineranno il futuro del Paese sulle infrastrutture, la tecnologia avanzata, la green economy. Eppure stamani 14 deputati democratici e un senatore chiedono di lasciare la campagna, nonostante i leader europei, a conclusione del vertice Nato, continuino a promuovere il presidente americano. Purtroppo le elezioni Usa si vincono in casa e non sulla politica estera.

I sondaggi, sport preferito di questi mesi di campagna, vedono una pluralità di elettori considerare l’età di Biden un problema più grande dell’autoritarismo di Trump, ancora una volta sottovalutato nella sua pericolosità. Tuttavia, nelle ultime settimane il Progetto 25, un disegno di governo estremista, ideato da molte personalità vicine all’ex presidente, ha cominciato a preoccupare anche il partito repubblicano, chiamato a gestire le uscite verbali vendicative del suo candidato, che per quanto prenda le distanze dal Progetto, nelle sue dichiarazioni ne conferma l’attuazione. 

Trump si presenta alla convention del partito, che si aprirà a Milwaukee lunedì 15 luglio, da pluricondannato, poiché ha usato fondi neri della sua società per pagare il silenzio di una ex pornostar su una relazione che avrebbe messo a rischio la vittoria alle elezioni del 2016. Si presenta da uomo contro le istituzioni, per aver continuamente messo in dubbio i risultati delle elezioni del 2020, nonostante nessuna indagine abbia rilevato brogli. Sarà sul palco repubblicano dopo averne fatto fuori i leader più moderati e aver spostato sull’estrema destra l’asse di governo del partito, affidato ora a fedelissimi e a membri della sua famiglia. Trump si presenta avendo minacciato di usare il Dipartimento di giustizia, qualora decidesse di tenerlo e non di abolirlo assieme a quello dell’ambiente, come arma contro i suoi nemici; mentre annuncia deportazioni di massa degli immigrati e dazi economici che potrebbero rivoltarsi contro la stessa economia Usa. 

Le elezioni del 2024 decideranno non tanto il destino di Biden o quello di Trump, ma sceglieranno il destino degli Stati Uniti e della sua democrazia e questo in un momento di grande crisi di leadership e di identità, da cui non è esente neppure l’Europa, alle prese con autoritarismi e populismi mai sepolti neppure dall’altra parte dell’Atlantico. 

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