La memoria della Liberazione oggi

Intervista a Susanna Florio del comitato nazionale dell’Anpi sul significato della ricorrenza del 25 aprile per la storia del nostro Paese nel contesto geopolitico attuale. Con uno sguardo sul futuro. Il  legame con la testimonianza di papa Francesco
Festa della Liberazione Roma Campidoglio Archivio ANSA/ GIORGIO ONORATI

A 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e dalla Liberazione dal nazifascismo abbiamo intervistato, nella vigilia del 25 aprile, Susanna Florio, componente della segreteria dell’Associazione nazionale Partigiani D’Italia (Anpi) con delega ai rapporti con l’Unione europea.

La sede nazionale dell’Anpi si trova nel quartiere Prati a Roma, vicino la chiesa di san Gioacchino, uno dei luoghi di incontro, durante la Resistenza, dei partigiani di estrazione cattolica. Un semplice ricordo, noto a pochi, che fa capire la diffusione della lotta di liberazione nel lungo periodo seguente alla fine del regime mussoliniano, con l’occupazione tedesca di una buona parte dell’Italia e la formazione al nord della Repubblica sociale italiana, una forma di stato vassallo agli ordini del Terzo Reich.

Oggi le sezioni dell’Anpi, diffuse in tutto il Paese, non sono l’espressione di un’associazione di reduci sempre più rari a causa dell’età, ma vantano un numero crescente di iscritti tra i giovani mentre, come è noto, il partito principale ora al governo ha le radici culturali nel Msi, che ha radunato nel secondo dopoguerra nostalgici ed esponenti del ventennio.

ANSA/PAOLO GIANDOTTI/UFFICIO STAMPA QUIRINALE

È quindi inevitabile che intorno al 25 aprile sorgano polemiche di ogni genere, arginate ad ogni modo dalla figura di garanzia di Sergio Mattarella, come presidente della Repubblica fondata sulla Costituzione e quindi sulla Resistenza.

Quest’anno la ricorrenza della Liberazione cade nel periodo di lutto nazionale per la morte di papa Francesco. Un fatto che ha indotto esponenti del governo ad invitare alla sobrietà nei festeggiamenti del 25 aprile, suscitando ulteriori polemiche. Come ha detto don Paolo Iannaccone del Centro accoglienza Ernesto Balducci nel Friuli Venezia Giulia, «non è così che si rispetta un pontefice che fin da quando era in Argentina ha dato la vita per la liberazione degli ultimi; non è così che si dà spazio a un Giubileo da lui voluto, che proprio nella liberazione da qualsiasi schiavitù trova una delle sue parole chiave».

Cominciamo, quindi,  a partire da queste premesse l’intervista a Susanna Florio.

A differenza della Germania, l’Italia non ha avuto un processo sui crimini di guerra come quello di Norimberga e allo stesso tempo non si è avuto un momento di riconciliazione nazionale come base di una memoria condivisa. Può essere questo il motivo dei conflitti che nascono intorno al 25 aprile?
Storicamente, un problema unico di questo nostro Paese consiste nel fatto che non sono stati fatti i conti con il passato. Guardando alla storia degli altri Paesi dell’Unione Europea, occorre riconoscere che ovunque si è voltata pagina con una certa rapidità. Il fascismo è stato un fenomeno unico di massa che ha coinvolto tutta la popolazione italiana. Non avere affrontato tale questione è un problema che abbiamo pagato duramente. Gli anni ‘70 sicuramente sono stati anni di profonda lacerazione con attentati di matrice fascista e mai abbastanza analizzati nella loro profondità e nel loro radicamento nella nostra società. È un prezzo che continuiamo a pagare con il negazionismo di chi sta oggi al governo, ma anche con manifestazioni di neofascisti e neonazisti che non hanno mai suscitato lo sdegno necessario e la capacità di combattere questi fenomeni che sono illegali.

Commemorazione del 25 aprile a Torino 2024 ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO

Ha destato stupore, di fronte alla guerra in Ucraina, la posizione dell’Anpi in linea con quella della Rete italiana pace e disarmo, che è contraria al sostegno militare occidentale a Kiev. Ma i partigiani non sono l’espressione della resistenza armata, contro l’oppressione?
Occorre aver presente che, storicamente, i partigiani italiani erano uomini e donne di pace costretti a prendere le armi in una situazione estrema. Parliamo di una generazione di ragazzi e ragazze costretti da 20 anni di dittatura, dall’occupazione nazista  e da una guerra cruenta che aveva visto anche i loro familiari, i loro vicini, i loro amici vittime di una situazione ormai impossibile da tollerare. Si trattò di una scelta che fecero puntando ad un futuro di pace. A 80 anni da quei fatti abbiamo tutti gli strumenti politici, diplomatici e internazionali per poter prevenire i conflitti. Questo è il punto fondamentale che ci distingue da chi pensa di poter risolvere situazioni come quelle dell’Ucraina armandosi. Quello che ci ha preoccupato è che sul piano internazionale, dalle manifestazioni della piazza Maidan in poi, nessuno sia stato in grado di garantire una transizione pacifica e democratica in quell’area. Eppure ci sono stati due trattati che non sono stati  rispettati. Uno quello di Helsinki,  del 1975, e poi il trattato di Minsk del 2014, che è stato del tutto ignorato. La grandissima differenza rispetto a 80 anni fa è il fatto che ci sono degli organismi internazionali, c’è una struttura istituzionale  dell’Unione Europea che avrebbe potuto intervenire  e non lo ha fatto. Questa guerra ha reso del tutto fragili e impotenti gli organismi internazionali. E questo, purtroppo, è un prezzo che si paga oggi, ancora più evidente con la strage in  Palestina. Non c’è l’ONU, o meglio, l’ONU non viene più rispettata in nessuna delle sue risoluzioni, in nessuna delle sue decisioni; perfino le sentenze della Corte Penale Internazionale sono ignorate.

Sono tanti i problemi irrisolti in Europa con riferimento alla guerra, se pensiamo alla ex Jugoslavia, ad esempio..…
Infatti siamo ad oltre 30 anni dalla guerra nei Balcani. Un conflitto alimentato da forze esterne, in realtà mai risolto. Il trattato di pace siglato a Dayton ha congelato una serie di tensioni, che puntualmente riemergono, eppure non ci stiamo occupando come dovremmo di quella di quella regione. Ci sono manifestazioni a Belgrado praticamente tutti i giorni, e in tanti sottolineano il fatto che mancano del tutto le bandiere dell’Unione Europea: l’UE non ha mai dato negli ultimi 30 anni una reale espressione di solidarietà all’opposizione a Vucic e ad un regime davvero poco democratico. È questo che manca. L’Unione Europea nel suo ruolo politico sulla scenario internazionale e gli organismi internazionali sono ormai svuotati.

Come giudica il paragone spesso fatto tra Vladimir Putin e Adolf Hitler, e quali sono le implicazioni di tale analogia per l’approccio al conflitto in Ucraina e per la politica europea?
Credo che tali parallelismi siano troppo semplicistici e irrispettosi verso una storia profondamente dolorosa che è stata quella del nazismo. Equiparare la situazione attuale a quella della Germania di Hitler rischia di banalizzare eventi storici tragici. Peraltro la nostra associazione è molto critica verso l’idea di trasformare l’economia europea in economia  di guerra; noi siamo a favore  di  soluzioni politiche e diplomatiche basate sul federalismo solidale, a partire dal Manifesto di Ventotene.

Qual è la vostra visione sull’attuale stato e sul futuro del progetto europeo?
Abbiamo una forte preoccupazione per l’attuale situazione delle istituzioni europee, in particolare per un Parlamento Europeo sempre più svuotato del suo ruolo e influenzato da una maggioranza di destra e ultradestra espressa dai risultati delle elezioni nazionali. Vediamo il passaggio a un’Europa di “piccoli e grandi sovranismi” a discapito di un progetto unitario focalizzato sul benessere di tutti i cittadini europei. Personalmente ho cominciato a occuparmi delle politiche europee soprattutto negli anni dell’allargamento, dal 1989 in poi. Erano gli anni in cui la delegazione italiana era composta tra gli altri da Giorgio Napolitano, Giorgio Ruffolo, Bruno Trentin, per citare personalità di alto livello; c’era cioè un investimento sulle delegazioni nazionali. Il Parlamento europeo era effettivamente una sede di discussione, una sede decisionale con una visione di futuro per l’Unione Europea. Per questo motivo crediamo che sia necessario continuare a lavorare con i parlamentari per cercare di riportare il Parlamento Europeo al suo scopo originario, come definito nei trattati.

Perché è importante il manifesto di Ventotene?
Parliamo di un progetto straordinario concepito nel buio del 1941 da Spinelli, Rossi e Colorni, di un continente di pace, solidale, federalista in cui gli interessi di crescita vanno costruiti insieme con una rete solidale. Vediamo perciò la crescita del sovranismo e nazionalismo come rischio di una potenziale egemonia di una nazione su un’altra, che può essere sconfitta solo con un progetto di federalismo solidale. I nazionalismi hanno solo portato guerre nella storia.

La Liberazione è legata positivamente nel nostro immaginario ai ragazzi degli Usa venuti in Europa per abbattere il nazifascismo. Come valutate oggi la presidenza Usa, che addirittura fa il tifo per forze politiche neonaziste come l’Afd in Germania?
Guardiamo con estrema preoccupazione ai fenomeni politici ed economici rappresentati da figure come Trump e altri leader a livello globale, che esprimono interessi oligarchici distanti dai reali bisogni dei loro Paesi. Siamo davanti ad una “novità” inquietante nell’attuale panorama politico americano e nel suo impatto a livello internazionale. Attraverso le nostre sezioni aperte all’estero, manteniamo un legame con le comunità di italiani emigrati in questi Paesi, cercando di contribuire ad un cambiamento attraverso processi democratici.

Piazza San Pietro persone in fila per saluto a papa Francesco ANSA/ALESSANDRO DI MEO

 

In questo scenario è scomparso papa Francesco. Cosa ha significato per voi?
Abbiamo sentito un legame stretto con lui. Ovviamente l’Anpi è fatta di tante anime, di tante storie, di provenienze diverse, cattoliche e laiche. Ma papa Francesco è stata l’unica voce forte a favore della pace, a fianco degli ultimi e degli emarginati, di chi cercava rifugio in Paesi come l’Italia o nell’Unione Europea. E questo ce l’ha fatto sentire molto, molto vicino. È stato il personaggio, se posso dire “politico” oltre che religioso, più coraggioso di questa generazione e quindi diciamo che per l’Anpi viene a mancare un punto di riferimento importante. Ma siccome ci sentiamo un’ associazione che a partire dalla storia vuole guardare al futuro, posso dire che costruiremo il nostro percorso anche sugli insegnamenti e sulle indicazioni di papa Francesco.

Vedasi cordoglio dell’Anpi per la morte di papa Francesco sul periodico dell’Associazione

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