La Resistenza del fronte cattolico

Il 25 aprile si celebra la liberazione dell'Italia dall'occupazione nazista e dal fascismo. Un'opione sull'impegno dei cattolici tra le fila dei cosiddetti "partigiani bianchi", per il ripristino della democrazia.
Ansa Filippo Venezia

Il monopolio da parte del Partito comunista italiano in passato ha reso monca la narrazione della Resistenza, che è ben più complessa e articolata. Oggi, alla luce di nuovi documenti, si può forse leggere la lotta di liberazione con maggior distacco e obiettività.

Il presidente del Consiglio italiano Alcide De Gasperi, alla Conferenza di pace di Parigi, ne fece un punto di merito. In quel contesto evidenziò che presero parte attiva alla guerra contro la Germania “la marina da guerra, centinaia di migliaia di militari per i servizi di retrovia, il ‘Corpo Italiano di Liberazione’, trasformatosi poi nelle divisioni combattenti e, «last but not least», i partigiani, autori soprattutto dell’insurrezione del nord. Le perdite nella resistenza contro i tedeschi, prima e dopo la dichiarazione di guerra – ricordò lo statista –, furono di oltre 100 mila uomini tra morti e dispersi, senza contare i militari e civili vittime dei nazisti nei campi di concentramento ed i 50 mila patrioti caduti nella lotta partigiana”.

Indubbiamente la Resistenza ha un valore unico nella storia repubblicana italiana, sebbene ancora non ci sia una valutazione condivisa e le divisioni rischiano di infiacchirne la portata morale. Non c’è accordo sui numeri: ancora oggi dobbiamo accontentarci di stime. Secondo quelle del Comando generale del Corpo volontari della libertà, struttura di coordinamento e unione delle forze partigiane riconosciuta tanto dal Governo italiano quanto dagli Alleati, al 25 aprile 1945, i partigiani erano tra i 250 e i 300 mila, metà dei quali comunisti e l’altra metà azionisti, socialisti, demolaburisti, repubblicani, democristiani, indipendenti, badogliani, liberali. Solo 100 mila erano impegnati nelle operazioni.

I cattolici avevano una presenza numerica importante, tra i 65 e i 100 mila, a seconda delle fonti. L’Isacem, l’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia ‘Paolo VI’, ha censito i membri di AC caduti: 1481, di cui 1279 laici e 202 ecclesiastici. Del loro eroismo parlano le onorificenze conseguite: 112 medaglia d’oro al valor militare, 384 d’argento e 358 di bronzo. Anche alcuni preti ebbero un ruolo attivo di combattenti, comandanti partigiani o commissari, tanto che, da settembre 1943 a maggio 1945, ne furono uccisi 425. “57 in combattimento, 191 per mano fascista e 109 dai partigiani”, ha ricordato Gianfranco Noferi, consigliere dell’Associazione nazionale partigiani cattolici in una relazione dal titolo La Resistenza dimenticata e il contributo dei cattolici, tenuta il 16 aprile scorso. “Tra i cappellani delle brigate partigiane 17 sono stati insigniti con medaglia d’oro al valor militare, 31 con quella d’argento, 46 di bronzo e 56 con croce di guerra”.

Sebbene siano dati parziali, dicono tanto del ruolo dei cattolici nella Resistenza. Perché, allora, se n’è parlato poco, consentendo una narrazione quasi a senso unico? “La vasta partecipazione cattolica alla battaglia ingaggiata dalla Democrazia Cristiana per la conquista del governo e la volontà di schierarsi più chiaramente per l’anticomunismo e per l’antifascismo influirono in maniera rilevante sui contenuti delle diverse commemorazioni”, ha chiarito, nel 2015, Marta Margotti, storica dell’Università di Torino, nel corso di un convegno organizzato dalla Fondazione Mazzolari sul tema ‘A settant’anni dalla Liberazione, 1945-2015. La memoria della Resistenza’.

“Da un lato – aveva spiegato -, non si volevano rammentare in maniera circostanziata le scelte compiute dalle istituzioni ecclesiastiche durante il ventennio fascista, in quanto era necessario passare il più possibile sotto silenzio quella vicinanza con il regime che, nell’Italia repubblicana, risultava evidentemente ingombrante. Dall’altro, rievocare con troppa enfasi l’opposizione di alcuni cattolici al regime o la partecipazione di credenti alla Resistenza rischiava di avvicinare eccessivamente la Chiesa al fronte antifascista considerato saldamente guidato dal Partito comunista. Per questo motivo, i cattolici scelsero spesso di rappresentare la lotta resistenziale attraverso l’atto eroico individuale, oppure il martirio del singolo sacerdote o militante dell’Azione cattolica, tralasciando di dare risalto alla dimensione collettiva della partecipazione”.

Complici alcune testate cattoliche, tra cui il settimanale torinese Il nostro tempo e il quindicinale Adesso, negli anni Sessanta, grazie a un diverso clima politico e sociale e a nuovi materiali d’archivio, è iniziato un processo di approfondimento che ha fatto emergere aspetti valoriali della partecipazione alla lotta di liberazione più in linea con il Vangelo e la dottrina sociale. “La lotta di liberazione nazionale – osservò Mario Deorsola, primo segretario del Centro studi ‘Giorgio Catti’ in un convegno sulla Resistenza dei cattolici nel 1970 – non fu che una ‘rivolta dello spirito’ fatta di dolore e fierezza, non contro altri uomini, programmi politici, ma contro i sistemi di un’epoca, contro un costume di vita, contro un’aberrante ed allucinante concezione del mondo, della storia e dell’uomo che veniva a sovvertire i valori supremi dell’esistenza, le basi stesse della civiltà umana e cristiana”. Insomma la Resistenza cattolica è stata importante e, in parte, diversa da quella dei partigiani comunisti per via di una diversa visione dell’uomo e della società. Ottant’anni dopo questo comincia a essere chiaro, ma necessita di una maggior divulgazione.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons