Un amico silenzioso

La vita di Francesco, e in particolare gli anni del papato, possono essere descritti e commentati da tanti punti di vista. Sicuramente una cosa che colpisce è il suo rapporto con le persone senza un riferimento religioso, un rapporto che forse i credenti difficilmente possono intuire o capire.
Il senso di vuoto che si intuisce nelle parole di alcune di loro dopo la sua morte, è impressionante. Quasi che fosse riuscito ad allargare il perimetro della Chiesa cattolica fino a comprendere «todos, todos, todos». Allargare il perimetro non con considerazioni sofisticate, ma con il cuore.
Riporto le parole che Gladys, una cara amica non credente, ha scritto appena saputa la notizia della morte del papa: «Caro Francesco, quando seppi che eri malato, ebbi paura di perderti. E ora che te ne sei andato, sento un vuoto, come se avessi perso un amico silenzioso, qualcuno che comprendeva il dolore, il dubbio, la fragilità umana.
Oggi non scrivo con la fede, perché non ce l’ho. Ma scrivo con un profondo rispetto per la tua fede, per la tua umanità, per il tuo modo di guardare il mondo. per essere stato un uomo tra gli uomini, pur portando sulle spalle il peso del mondo. Grazie».
Vorrei però anche riportare la parole che Gladys aveva scritto ieri per inviarle oggi al papa, dopo averlo visto attraversare piazza san Pietro. Un momento di gioia, pur nella sofferenza.
«A Papa Francesco,
Non le scrivo per chiedere una benedizione né un favore. Le scrivo come donna, come argentina come lei, porteña di Buenos Aires, come essere umano che soffre per l’assenza della fede.
Invidio chi riesce a credere in Dio con il cuore pieno. Io no. Per me Dio non esiste, e questa assenza mi fa male. La paura della morte, del vuoto, del non senso… la sento ogni giorno. Ma so che anche lei, pur essendo un uomo di fede, ha conosciuto il dubbio e la paura. E forse per questo sento di potermi rivolgere a lei, non come al Papa, ma come a un uomo.
Quando seppi che si era ammalato, ebbi paura che ci lasciasse. Provai una tristezza profonda per non averla mai conosciuta, per non aver avuto l’opportunità di parlarle faccia a faccia, da persona a persona. Oggi, giorno di Pasqua, l’ho vista per caso in televisione, lì in Piazza San Pietro, in mezzo alla folla. Ho provato un sollievo, una specie di conforto. E anche un profondo desiderio di incontrarla, di avvicinarmi, di abbracciarla.
Vivo in Italia dagli anni ’70, a Roma. Sono figlia di italiani emigrati in Argentina. Mia madre era piemontese, di Marene, in provincia di Cuneo… non molto lontano dalla sua famiglia di origine. A volte sento che le nostre radici, in qualche modo, si toccano.
Non cerco miracoli. Solo uno sguardo umano, una parola che non venga da un trono, ma da qualcuno che ha attraversato la vita, con le sue luci e ombre, come me. Vorrei incontrarla, non perché lei ha un’autorità, ma perché forse lei può comprendere. Ho fede nella sua fede. Lei è, per me, l’uomo più vicino a Dio».
—
Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it
—