Francesco della pace, dei poveri e… delle sorprese

Il papa venuto da lontano e andato ancora più lontano. Un pontificato complesso, di apertura e di Vangelo, di contrasto alla violenza e alla guerra e di vicinanza ai più piccoli
Papa Francesco durante l'Udienza generale in Aula Paolo VI, Città del Vaticano, 15 gennaio 2025. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Aveva detto, appena eletto papa, di essere venuto dagli ultimi confini della terra. Ma è riuscito a rendere i confini della Chiesa ancora più ampi di quanto non lo fossero in precedenza. Viene da pensare a Tommaso d’Aquino che sosteneva che la Chiesa è vasta quanto l’umanità per cui il Cristo è morto in croce. Papa Francesco ha incarnato questa verità teologica.

Se si potessero fare indagini approfondite e sincere sul pontificato terminato questa mattina alle ore 7 e 35 minuti, si costaterebbe come la popolarità del papa in effetti sia stata dovuta in particolare alla naturale simpatia e empatia che ha suscitato in chi in chiesa non ci va. La sua attenzione ai sette miliardi di umani che non sono cattolici è stata la nota peculiare del suo pontificato, durato dal 13 marzo 2013 al 21 aprile 2025, dodici anni densissimi e mai scontati.

Del mondo cattolico, del miliardo e passa di cristiani legati a Roma, se ne è ovviamente interessato, e molto, ma ponendo una particolare attenzione al “popolo di Dio”, più ai semplici fedeli che al clero, più ai testimoni del Cristo che ai portatori di qualche titolo. In questo papa Francesco verrà ricordato come il papa cattolico-più-che-cattolico. Cioè, seguendo l’etimologia, universale.

Uomo di sorprese, è stato papa Francesco – al secolo Jorge Mario Bergoglio, di origini piemontesi, nato il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires –, sin dal primo scorcio del suo pontificato, quando ha rifiutato di abitare nei “sacri palazzi”. È stato uomo di grandi capacità comunicative, come ha dimostrato ad esempio durante il dramma del Covid, quando ha voluto rendersi presente al mondo e invitare tutti a pregare attraversando una deserta piazza San Pietro, unico deambulante terrestre, simbolo dell’umano che si trova denudato di ogni suo potere, in balia del morbo, che invoca il suo Dio. Uomo di sorprese lo è stato fino all’ultimo, sino alla giornata di Pasqua, in cui ha voluto essere presente nella sua piazza e dove ha ricevuto il vicepresidente Usa Vance, pur essendo note le sue divergenze con l’attuale presidenza statunitense.

Uomo dei poveri e dei piccoli come san Francesco d’Assisi, certo, ma anche uomo che dava del tu al potere, in questo degno discepolo di Sant’Ignazio di Loyola. Nei suoi viaggi non voleva che fossero inseriti nei programmi troppi momenti di protocollo, rifuggendo dai pranzi di gala, obbligando vescovi e nunzi a sostituirli con pranzi dozzinali nella mensa dei poveri di turno. In ciò faceva politica, indicando ai potenti il vero obiettivo che spettava loro, quello della giustizia e della pace.

Papa Francesco era debitore per il suo pensiero a quella corrente sudamericana definita come “teologia del popolo”, da non confondere con la più nota “teologia della liberazione”. La fede popolare gli interessava, più che la fede militante tinta di politica. Questa sua tendenza la si è potuta verificare nelle nomine episcopali e cardinalizie: ha sempre privilegiato i preti vicini alla gente rispetto agli uomini d’apparato. Ed ha voluto sovvertire tutte le tradizioni di “carriera ecclesiastica” maturate nei secoli nella Chiesa: le tradizionali sedi cardinalizie sono diventate così semplici sedi episcopali, essendo elevate alla porpora solo di rado.

Ha attraversato crisi epocali, papa Francesco, anche nella Chiesa. Su tutte, la progressiva disaffezione di tanta parte dei fedeli dalle pratiche religiose, in particolare nell’universo euro-atlantico. Ha posto particolare attenzione alla “planetarizzazione” della Chiesa cattolica, elevando alla porpora presuli titolari di diocesi lontanissime dal centro della cattolicità, come talune isole del Pacifico, o remote lande asiatiche. Da non dimenticare poi le grandi sfide della cattolicità, come il ventilato scisma nella Chiesa in Germania e nel Nord Europa, come la gravissima crisi degli abusi commessi dagli uomini e dalle donne di Chiesa, come la difficile conciliazione dei principi etici di tanta parte delle comunità del sud del pianeta e dell’emisfero settentrionale. Anche la riforma della Curia romana non è stata scevra di momenti delicati, non ultima la questione della giustizia vaticana.

In queste crisi, molto pragmaticamente papa Francesco ha scelto di “navigare a vista”, rinviando i dossier scottanti (come nell’ultimo sinodo) senza mai rompere, cercando di mantenere un equilibrio per certi versi impossibile. Altri dossier delicati: quello dei movimenti nati attorno al Concilio Vaticano II; quello della convivenza con un “papa emerito”; o ancora quello della sinodalità, o se si preferisce della Chiesa-comunione, processo già avviato peraltro dai suoi predecessori.

Papa Bergoglio ha pure affrontato la progressiva crescita dei venti di guerra, coniando già all’inizio del suo pontificato un’espressione diventata universalmente usata: “Terza guerra mondiale a pezzi”. Ha cercato di inserirsi nei processi di tregua e pacificazione, con alterna fortuna. Ma la pace l’ha “gridata”, sempre e comunque.

Ma, soprattutto, di questo papa si ricorderà il continuo richiamo al Vangelo, alla Parola che va vissuta, alla necessità per i cristiani di dimostrare di far parte coi fatti e non con i titoli alla sequela di Cristo. Questo passo in avanti nella dimensione evangelica credo sia ormai definitivo: il successore, chiunque sarà, non potrà tornare indietro.

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