L’Italia e il Mediterraneo nei rapporti con gli Usa di Trump

Ogni volta che, come avvenuto giovedì 17 aprile 2025, un presidente del Consiglio si reca in visita alla Casa Bianca, la notizia prevalente si ferma al potere delle immagini, ai sorrisi come beneplacito della nazione leader dell’Occidente governata attualmente dal leader mondiale dei conservatori.

L’affinità culturale tra la Meloni e Trump conduce a proporre Roma come sede di un prossimo vertice di mediazione tra gli Usa e l’Unione Europea per comporre lo scontro sui dazi commerciali, una vera bomba sommersa pronta ad esplodere tra le due rive dell’Atlantico dopo il periodo di sospensione delle nuove tariffe deciso in autonomia da Washington.
Nella sostanza, la presidente del Consiglio italiana si è presentata al cospetto di Trump con la promessa di aver quasi raggiunto l’obiettivo del 2% del Pil in spese militari assieme all’impegno ad acquistare più gas liquido dagli Usa e alla promessa dell’investimento di 10 miliardi di dollari negli Usa da parte di alcune imprese italiane.
L’obiettivo del 2% del Pil in spese militari è realizzabile grazie alle modalità di calcolo di quelle già adottate secondo il ministro dell’Economia e Finanze Giancarlo Giorgetti. Ne è nata una polemica con il collega della Difesa Guido Crosetto che si troverebbe con un budget inferiore a quello auspicato. In realtà, secondo le previsioni dell’osservatorio Milex, per raggiungere quell’obiettivo di spesa assunto in diversi vertici della Nato fin dal 2014 occorrono circa altri 10 miliardi di euro.
Ma tale incremento sul bilancio pubblico è solo una stima per difetto se, come è prevedibile, l’asticella delle spese sarà alzata al 3,5 – 5% del Pil in occasione del summit della Nato previsto a giugno a Bruxelles.
Ad ogni modo, come fa notare l’Ispi, il piano di riarmo europeo previsto dalla Commissione Ue comporterà un aumento di spesa per l’Italia di 95 miliardi di euro in 4 anni. Cifre raggiungibili sforando il patto di stabilità e quindi aumentando il debito pubblico del nostro Paese con effetti macroeconomici evidenti. Secondo la tesi di Angelo Panebianco, ripetuta più volte sul Corsera, l’essere europeisti oggi si dimostra solo aderendo al riarmo delineato dalla von der Leyen. Altrimenti la nostra penisola diventa come un zattera dispersa nel Mediterraneo.
Se si definisce tale priorità politica, ne consegue che perde di interesse ogni paragone con gli investimenti carenti in altri settori, dalla sanità pubblica all’istruzione. Con l’equivalente di un caccia bombardiere da 130 milioni di euro, ad esempio, si potrebbero aprire 387 asili nido, ma l’obiettivo prioritario è quello di poter esercitare un ruolo geopolitico fino ad essere pronti in caso possibile di guerra. L’Italia ha in servizio due portaerei militari, lo stesso numero della Cina, che può inviare in missione nel lontano Pacifico a supporto degli Usa.
Di fatto su tali questioni centrali di politica estera non esiste un vero dibattito pubblico nel nostro Paese. Altrimenti, proprio per la nostra collocazione nel Mediterraneo, dovremmo chiederci le ragioni dell’assenza della questione israelo-palestinese nell’incontro di Meloni alla Casa Bianca nonostante la tragedia in corso, con i prigionieri del 7 ottobre 2023 ancora nelle mani di Hamas e la popolazione civile della Striscia di Gaza esposta ai bombardamenti ed afflitta dalla mancanza di beni essenziali quali acqua e cibo.

In un mondo sempre più multipolare, è fallito il tentativo di rimuovere Francesca Albanese dal ruolo di relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati e il World press photo of the year è andato ad un’immagine devastante di Mahmoud Ajjour, un bambino palestinese di 9 anni rimasto senza braccia a causa di una esplosione che lo ha colpito mentre cercava di fuggire da un attacco militare israeliano su Gaza.
Anche se Trump resta il miglior alleato di Netanyahu, sono gli stessi militari israeliani, come ha scritto Cantamessa su cittanuova.it, ad esercitare l’obiezione di coscienza.
Anche la Caritas internationalis, ovviamente sempre molto prudente nelle esternazione per non ostacolare la propria attività di soccorso, ha condannato la ripresa degli attacchi aerei su Gaza definita «una grave violazione del diritto internazionale umanitario» che si abbatte su una situazione catastrofica, con persone che vivono «in carestia, senza cibo, acqua, riparo, rimozione delle acque reflue o qualsiasi servizio di base affidabile».
Sono possibili gesti concludenti sul piano politico, senza per questo brandire una temibile potenza armata, come ha fatto la Santa Sede riconoscendo lo Stato di Palestina nel 2015.
È questo riconoscimento ufficiale il primo punto richiesto da una posizione comune espressa il 15 aprile da Pd, M5S e Avs. Le tre forze politiche di opposizione, pesando bene le parole nel condannare le stragi di Hamas e richiedere la liberazione di tutti ostaggi israeliani, hanno rotto gli indugi chiedendo esplicitamente di «riconoscere lo Stato di Palestina come Stato democratico e sovrano, e promuoverne il riconoscimento anche da parte di tutta l’Unione Europea».
Ma la novità di tale atto comune va oltre, entrando nel merito di questioni centrali, chiedendo non solo di «sostenere in tutti i consessi europei ed internazionali la legittimità della Corte Penale Internazionale», ma in maniera puntuale di:
«Sostenere il cosiddetto “Piano arabo” per la ricostruzione e la futura amministrazione di Gaza, condannando qualsiasi piano di espulsione dei palestinesi da Gaza e Cisgiordania.
Sospendere immediatamente forniture, autorizzazioni e compravendita di armi con Israele.
Sostenere in sede europea l’adozione di sanzioni nei confronti del Governo israeliano per la sistematica violazione del diritto internazionale.
Esigere la fine dell’occupazione militare illegale dei territori palestinesi in Cisgiordania e l’illegale creazione e sostegno di insediamenti israeliani.
Promuovere la sospensione dell’accordo di associazione EU-Israele per le ripetute violazioni del diritto internazionale».
Una piattaforma molto esplicita e puntuale che, per non restare enunciazione retorica, richiede di farsi materia di confronto politico proprio mentre si discute dell’arrivo prossimo dei vertici Usa e della Ue, allargando il discorso oltre il contenzioso sui dazi e la guerra in Ucraina che Trump aveva promesso di risolvere in tempi brevi.
Il vicepresidente Usa J.D. Vance ha immediatamente ricambiato la visita italiana, arrivando a Roma il Venerdì Santo. L’immagine dolente di Mahmoud Ajjour è una leva potente per la coscienza di tutti noi, un ammonimento alla grande responsabilità politica di chi è chiamato a far valere la forza del diritto contro il diritto della forza.
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