Il declino di Anton Čechov come inno alla vita

Gli ultimi momenti del grande scrittore russo raccontati con leggerezza da Raymond Carver nel testo “L’incarico”. Al Teatro Biondo di Palermo fino al 13 aprile
© ivan nocera per teatro di napolii

L’incarico, dello statunitense Raymond Carver, racconta del declino di Anton Čechov negli ultimi mesi della malattia che lo condurrà alla morte, accompagnati da quell’ottimismo ottuso e dalla sua insistente negazione del grave stato di salute. Ad accomunare i due autori è la morte di entrambi per malattia polmonare (Carver stava morendo mentre scriveva il racconto). Il testo è un piccolo gioiello teatrale di stampo naturalista, con la parola che sa raccontare storie documentate, vite di uomini e di donne, che fanno sempre bene al cuore, e alla mente.

Artefice dello spettacolo prodotto dal Teatro di Napoli è Luca Bargagna, regista e adattatore del testo tradotto da Riccardo Duranti. Carver (1938-1988) è stato poeta, scrittore di racconti, saggista, sceneggiatore ed erede della grande tradizione letteraria della narrativa breve che affonda le radici soprattutto in Čechov e Hemingway. Artigiano della parola (vedi il suo prezioso breviario Il mestiere di scrivere), coi suoi racconti dallo stile minimalista è stato un attento testimone di quello che si muove attorno, con personaggi e storie di uomini e donne comuni, di vite dolorosamente normali, senza suspence e senza colpi di scena.

Con Carver è il tema del quotidiano a brillare. Anche quando si parla della vita di un grande scrittore russo come Čechov che del quotidiano è stato cantore eccelso. Al suo autore preferito Carver rende omaggio dedicandogli L’incarico, mischiando biografia e narrativa con un pathos e un andamento introspettivo profondo, che supera il racconto breve e si avvicina al testo del romanzo. Pur non essendo Carver un autore teatrale, la messa in scena di questo testo rivela una naturale, insita teatralità proprio «attraverso lo sguardo inconsapevole ed incosciente del quotidiano», scrive il regista.

Lo spettacolo inizia col presagio del medico sui sintomi della tubercolosi in stato avanzato, cui segue un dialogo con la moglie Olga con citazioni da diari, scritti e lettere – le corrispondenze d’amore che ebbero i due coniugi -, e l’arrivo a Badenweiler, in Germania, una località di cura per i malati di tisi (nel giugno 1904, arriva in questa stazione climatica per morirvi). Nella funzionale scenografia di Angela Linzalata, con due ambienti modificabili e alternati che determinano alcuni spazi – paesaggio cittadino, stanza, hotel, salotto, quinta teatrale, boccascena -, il racconto scorre con diverso ritmo e atmosfere, tra malinconia e ironia, ricordi, espressioni d’amore, citazioni letterarie (per esempio il personaggio ricoverato tra i malati di mente del racconto Reparto n.6, riferimenti a Il Giardino dei Ciliegi, o alla novella Amore da pesci), con brevi inserti musicali che spaziano dal classico al jazz, da Mahler a Bacharach. Entrano piccoli fatti storici, come l’incontro con la futura moglie, l’attrice Olga Knipper, avvenuto durante le prove per Il gabbiano nel 1898; o quando Tolstoj visita Cechov in ospedale e parla dell’immortalità dell’anima.

C’è poi una frase riportata nella biografia di Henri Troyat, che sembra aver pronunciato Čechov come ultime sue parole: «È passato così tanto tempo dall’ultima volta che ho bevuto champagne». Carver la riprende scrivendo un ultimo capitolo del racconto con l’aggiunta di un quarto personaggio: un impacciato e trasandato cameriere dell’hotel al quale viene chiesto di portare in camera una bottiglia di champagne e tre bicchieri. A ordinarli, in un imperturbabile atto notturno, è il medico, il quale rendendosi conto che Cechov morirà da un momento all’altro, vuole esaudire quel desiderio.

È a questo punto che la storia si fa pura commedia. All’oscuro di quello che si “festeggia”, il cameriere – del quale ascoltiamo i suoi pensieri e le sue azioni ad alta voce – porta la bottiglia. Stappando lo champagne, il medico sta attento a “minimizzare, per quanto possibile, l’esplosione festosa”. Quindi rimette il tappo. Čechov beve, si gira di lato e smette di respirare. Il medico esce. Inspiegabilmente, mentre Olga è in lutto, il tappo salta fuori di nuovo a terra. Tornato presto la mattina dopo per riprendere i calici, portando un vaso e delle rose, e informare che la colazione verrà servita in giardino, il ragazzo trova la donna solo con il cadavere. Ignaro fino a quel momento della presenza di Čechov in hotel, chiede di prendere il secchiello del ghiaccio. Segue un lungo, imbarazzato silenzio, durante il quale nota il tappo sul pavimento della stanza e lo vorrebbe riprendere. In un impeto Olga gli dà l’incarico – da qui il titolo della pièce – di affrettarsi a chiamare un impresario di pompe funebri senza però suscitare troppo clamore. Anche se la richiesta non rientra nei suoi doveri, si appresta a uscire. «Ma in quell’istante – dice tra sé e sé – mi viene in mente che il tappo è ancora a terra vicino alla punta della sua scarpa. Per raccoglierlo dovrei abbassarmi, sempre tenendo in mano il vaso. Farò proprio così. Mi chino, senza guardare in terra, allungo il braccio e lo serro nel pugno».

Non sappiamo il vero significato che Carver ha voluto dare a tutta questa sequenza e all’oggetto specifico. Il racconto lo leggiamo come un inno alla vita, e da interpretare sicuramente – molti critici e studiosi lo sostengono – come una identificazione con Čechov. E il ruolo dello scrittore russo calza perfettamente a pennello all’attore Arturo Muselli, per immedesimazione, aplomb, toni, che restituisce con misura, e con quei ritmi “umani” – tipici di Čechov – che tutti insieme gli interpreti – Silvia Ajelli (Olga Knipper), Claudio Di Palma (il dottore), Antonio Elia (il ragazzo cameriere) compongono.

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