In Italia sempre meno nati, nell’indifferenza della politica

Quasi diecimila bambini in meno. Secondo il rapporto Istat sugli indicatori demografici del 2024, in Italia continua il calo delle nascite. Nel 2023 i nuovi nati erano stati 379.890, mentre nel 2024 sono stati 370mila (-2,6%). Di questi, quasi 50mila sono di origine straniera. In media, ci sono 1,18 figli per donna: nel 2023 erano 1,20. Si è superato (in negativo) anche il minimo storico registrato nel 1995, quando erano 1,19.
Nel nostro Paese dunque si fanno meno figli, le madri e i padri sono più anziani, i matrimoni religiosi e civili sono in calo e più di una famiglia su tre è formata da una persona (il 36,2%). Le coppie senza figli sono un quinto del totale (poco più del 20%), mentre una famiglia su 10 è monogenitoriale, formata principalmente da madri sole con figli. E se le pubblicità mostrano le nuove tendenze, suscita più di una riflessione lo spot di un’auto per famiglie numerose che serve ad ospitare una coppia e i suoi tanti cani.
Le famiglie con figli sono le più povere: non è un caso, ma il risultato della mancanza di un piano strutturato a sostegno della genitorialità e della scarsa attenzione alla natalità, nonostante l’azione incessante di tante organizzazioni che continuano a sollecitare efficaci politiche familiari, come il Forum nazionale delle associazioni familiari presieduto da Adriano Bordignon e la Fondazione per la natalità guidata da Gigi De Palo. Del resto, le priorità della nostra classe politica appaiono abbastanza chiare: mentre l’Iva sui pannolini per bambini è tornata ad aumentare, i diversi partiti non hanno perso tempo ad accordarsi per una riduzione delle tasse sulle ostriche, come già era successo per i tartufi. Evidentemente le priorità dei politici non sono le stesse della maggior parte delle famiglie italiane.

Geograficamente parlando, le province con più alto numero di figli sono Bolzano (1,51), Crotone (1,36), Reggio Calabria (1,34), Ragusa e Agrigento (entrambe con 1,34) e Catania (1,33). Si fanno invece meno figli a Cagliari (0,84), Nuoro (0,98), Viterbo (1) e Prato (1,01), Isernia e Biella, entrambe con una fecondità pari a 1,04.
Dai dati Istat emergono altri dati interessanti, già noti, che meriterebbero finalmente una riflessione da parte della classe politica e del governo, soprattutto quando si parla di autonomia differenziata. Al Sud, per, esempio, le prospettive di vita alla nascita sono inferiori rispetto al Nord. In media, in Italia, la speranza di vita è di 81,4 anni per gli uomini e 85,5 per le donne. Finalmente i dati sono tornati ad aumentare, dopo il tragico periodo della pandemia. Tuttavia, mentre in Trentino Alto Adige, la Regione con la speranza di vita più alta, per gli uomini si parla di 82,7 anni e per le donne di 86,7, in Campania, la Regione con la speranza di vita più bassa, si scende a 79,7 anni per gli uomini e a 83,8 per le donne. Una disparità dovuta, tra l’altro, alla minore disponibilità di servizi sanitari, di serie politiche di prevenzione e alle più scarse risorse economiche.
Altri dati Istat parlano dell’aumento degli espatri (156mila italiani emigrati, per un + 36,5%) e dell’incremento dell’immigrazione straniera (382mila persone, +1%, con un’incidenza del 9,2% sul totale). Il primo gennaio 2025 la popolazione italiana era di 58,934 milioni di persone. Di questi, gli stranieri sono 5 milioni e 308 mila (+166mila rispetto all’anno precedente).
Tornando alla questione della denatalità, il fenomeno richiede risposte urgenti e politiche efficaci. Per il presidente del Forum delle famiglie Adriano Bordignon “stiamo sprofondando nelle sabbie mobili ed è evidente che quanto stiamo mettendo in campo, come sistema-Italia, è del tutto insufficiente per garantire un minimo equilibrio demografico. Da anni chiediamo una rivoluzione che il nostro Paese non è ancora disposto ad assumere, vittima di priorità che sono sempre altre, di mancate convergenze transpartitiche, di fragilità di alleanze tra politica, amministrazione locale, lavoro associazionismo e scuola. Ma anche politiche asfittiche e vincolate a patti di bilancio stringenti che invece si fanno flessibili per altre urgenze”.
Per Bordignon “urgono politiche strutturali, generose ed universali orientate a famiglia e giovani. In tal senso, servono il coraggio, l’unità e la capacità di programmare per fare, da subito, le scelte operative conseguenti, considerando la spesa per far crescere il figlio, non come un costo individuale ma come investimento per il futuro dell’intera comunità. Occorre cambiare cultura e supportare la famiglia come soggetto sociale che, se messo nelle condizioni, è capace di generare benessere per tutto il Paese”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità, per il quale se non iniziamo “seriamente a fare delle politiche impattanti, concrete e durature”, “la partita della natalità e quindi della crescita economica, della coesione sociale, della solidarietà intergenerazionale, del mantenimento del sistema sanitario, del mantenimento del sistema pensionistico, sarà persa”.
Non si tratta, specifica, di trovare un colpevole, ma di “fare squadra tutti insieme perché stiamo giocando la partita più importante del nostro Paese. Non bastano più bonus o parcellizzazione di bilanci nazionali. Serve dedicare i prossimi 10 bilanci del Paese a questa tematica perché altrimenti viene giù tutto». In vista della quinta edizione degli Stati generali della natalità, in programma per il 27 e il 28 novembre, dal titolo “Cambiare Paese o cambiare il Paese?”, De Palo lancia un appello “ai sindacati, ai pensionati, ai lavoratori, alle banche, alle aziende, all’associazionismo e al terzo settore, al mondo della comunicazione, al mondo dello sport: chiediamo tutti insieme politiche familiari e per la natalità che mettono i nostri giovani nelle condizioni di realizzare i loro sogni lavorativi e familiari nel nostro Paese”.
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