Intolleranze alimentari, che fare?

La testimonianza di una mamma e i consigli di una biologa sul tema dei test che vengono utilizzati per appurare eventuali intolleranze alimentari
Analisi di laobratorio (foto pexels-karolina grabowska)

Quante volte, ci sarà successo d’assistere a mal di pancia improvvisi, cattiva digestione dei figli? Per arrivare, in alcuni casi, al vomito, alla diarrea o sangue nelle feci? Quante volte – chi, soprattutto, ha una famiglia numerosa – siamo corsi in ospedale, venendo licenziati dai medici, poco dopo, con l’affermazione che i nostri ragazzi soffrono di crisi d’ansia o mangiano cibo-spazzatura?

Quante volte abbiamo, così, creduto che il lamentarsi di prima mattina dei nostri adolescenti fosse da attribuire alle patatine fritte del giorno prima o alla paura d’essere interrogati? «È arrivato poi il giorno – ci ha raccontato Sara C. di Palermo – in cui ho seguito il mio istinto di mamma, e ho fatto eseguire per i miei figli i test di intolleranza alimentare».

«Ho ritirato gli esiti alcuni mesi fa. Non potevo credere ai miei occhi – continua a dirci, con foga, Sara -: anche il terzo figlio è risultato, come i suoi fratelli, intollerante al latte! Per anni ho visto sanguinare il mio Diego, pensando avesse delle ragadi anali; ho visto soffrire di dolore allo stomaco la mia Beatrice; e, da mesi, il piccolo di casa aveva il volto pieno di puntine! Ho sempre approfondito con controlli specifici (consulenze endocrinologiche, ecografiche, dermatologiche). Quanto tempo e denaro, prima d’arrivare ad una diagnosi così elementare quanto fondamentale! Adesso tutti e tre i figli hanno migliorato la loro digestione (mai più sangue nelle feci, il primo) e la loro pelle è più sana».

Sara ci ha contattato col desiderio sincero di far comprendere il valore della prevenzione. Con un solo prelievo di campione di sangue sono analizzati centinaia di alimenti, compresi i livelli di tolleranza dell’individuo all’ingestione degli stessi. Essere messi a conoscenza di questi dati può aiutare ad avere uno stile di vita più sano; evitare stress emotivo e malesseri a livello gastrointestinale (nausea, flatulenza, gonfiore addominale, diarrea, stipsi, colite, ritenzione idrica, iperacidità, afte), dermatologico o cutaneo (orticaria, acne, dermatiti, alopecia) respiratorio (raffreddori, asma, difficoltà a respirare), ma anche evitare d’incorrere a problematiche di salute future ancora più gravi.

Ricordiamo infatti, a livello generale, che le intolleranze alimentari si differenziano dalle allergie alimentari (che insorgono poco tempo dopo aver assunto gli alimenti scatenanti) dal fatto che possono manifestarsi dopo qualche giorno. A motivo di ciò è più difficile stabilirne il nesso di casualità. Il corpo, impegnato a combattere contro l’alimento nocivo, continua, però, a indebolirsi, creando stanchezza ed alterazione dell’attività intestinale.

Abbiamo chiesto, sul tema, parere alla biologa palermitana Giorgia Piccione, che invita, di contro, alla prudenza. Riferisce: «Il tema delle intolleranze è enorme. Quello che posso consigliare, essendo biologa e, al tempo stesso, paziente, è d’affidarsi ad un professionista medico. Il “fai da te”, ovvero fare il prelievo di propria sponte, non porta da nessuna parte. I sintomi dell’intolleranza sono, infatti, comuni a diverse altre patologie, basti pensare al gonfiore addominale o la cefalea».

«Il percorso per arrivare ad una corretta diagnosi – insiste la dott.ssa Piccione – inizia rivolgendosi proprio ad un esperto medico o nutrizionista (biologo o dietista). Si ragiona, poi, per esclusione. Consiglio di scrivere un diario alimentare ed escludere o rimodulare la dieta in funzione di quello che ci ha fatto male o bene. Poi è chiaro: il supporto della clinica laboratoristica è certamente d’aiuto, ma non deve essere il punto di inizio. Semmmai, uno dei tasselli che ci guida per una corretta diagnosi».

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