Caos in Congo: i ribelli dell’M23 entrano a Goma
È uno scenario apocalittico quello che stanno vivendo gli abitanti della città di Goma, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RdC). Dopo pesanti combattimenti, la città strategica della parte orientale del Paese è caduta. Con il sostegno di 3-4 mila soldati ruandesi, secondo le Nazioni Unite, i ribelli dell’M23 (Movimento 23 Marzo) sono riusciti ad entrare a Goma domenica 26 gennaio.
Il 21 gennaio 2025, le forze M23 e ruandesi avevano preso il controllo di Minova, una città a 40 chilometri da Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, tagliando le vie di rifornimento agli abitanti della zona (tra 1 e 2 milioni di persone).
Sin dal loro ingresso nel territorio, alcune parti della zona occidentale della città sono sotto il controllo di questo gruppo ribelle, ben organizzato e supportato da milizie ruandesi, che continuano i loro attacchi, mantenendo una situazione di estrema instabilità. Goma è piombata nel caos dopo l’arrivo dei guerriglieri M23, e fin da martedì 28 gennaio ci sono stati scontri a fuoco nei quartieri orientali, molto vicino all’aeroporto e sulla strada che porta a Gisenyi, a poche centinaia di metri di distanza, ma già in territorio ruandese. Soldati delle forze armate congolesi si trovano nella zona dell’aeroporto, nella parte orientale della città. Al contrario, i ribelli controllano parti della zona occidentale di Goma.
Per protesta, diverse centinaia di manifestanti sono scesi in piazza martedì a Kinshasa, capitale del Congo RdC, appiccando il fuoco a parte della recinzione dell’ambasciata francese e all’ingresso dell’ambasciata belga.
Sempre a Kinshasa, altri manifestanti si sono diretti all’ambasciata ugandese, che è stata saccheggiata e svuotata dei mobili. Una parte dell’edificio che ospitava l’ambasciata ruandese, nel centro della città, è stata vandalizzata, le auto sono state date alle fiamme e molti beni saccheggiati.
“Questi attacchi sono inaccettabili. Stiamo facendo tutto il possibile per garantire la sicurezza dei nostri agenti e dei nostri cittadini”, ha dichiarato Jean-Noël Barrot, ministro degli Esteri francese, in un post su X. I manifestanti denunciano il silenzio di questi Stati di fronte all’aggressione che la RdC subisce da parte del Ruanda attraverso il gruppo ribelle M23.
Il Movimento 23 marzo (M23) è stato creato nel 2012 da ex soldati separatisi dall’esercito congolese. Dopo una breve ascesa al potere nella zona, nel 2013 l’M23 venne sconfitto dalle Forze armate della Repubblica Democratica del Congo (Fardc), supportate dalle forze di peacekeeping della Missione Onu in Congo (Monusco). Tuttavia, nel 2022, l’M23 ha ripreso le armi, conquistando diverse località nella provincia del Nord Kivu, situata al confine tra Congo RdC, Ruanda e Uganda.
Per anni Kinshasa ha accusato il Ruanda di sostenere attivamente i membri di M23 per ottenere l’accesso alle ricchezze minerarie della regione: carbone, rame, oro, nichel cobalto, diamanti e soprattutto coltan, un minerale che sta alla base della produzione di condensatori speciali, largamente usati per i telefoni cellulari e i computer. Le accuse contro il Ruanda sono supportate dai rapporti delle agenzie delle Nazioni Unite, che indicano il sostegno militare ruandese al movimento ribelle. Per la RdC, l’M23 è un gruppo “terrorista” e qualsiasi forma di negoziazione è categoricamente respinta.
Il Ruanda nega categoricamente le accuse, affermando che l’M23 è un movimento congolese guidato da congolesi. Kigali (la capitale del Ruanda) respinge le conclusioni dei rapporti delle Nazioni Unite e ricorda di aver disarmato nel 2012-2013 i ribelli dell’M23 che si erano rifugiati sul suo territorio, e di aver consegnato il loro arsenale alle autorità congolesi.
Il Ruanda, da parte sua, accusa la RdC di sostenere nel Paese gruppi ribelli e milizie armate, in particolare la milizia Wazalendo e le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (Fdlr), ritenuti responsabili del genocidio ruandese del 1994, in cui vennero massacrate fra 800 mila e 1 milione di persone, prevalentemente di etnia Tutsi. Ma si intuisce senza troppa difficoltà che il conflitto, che si protrae da 30 anni ed ha provocato almeno 10 milioni di vittime, punta al controllo delle risorse minerarie della regione e gode molto probabilmente del sostegno di potenti sponsor occulti.
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