Iberia a Davos
Rileggo una notizia che emerge dalle riunioni nel World Economic Forum di Davos (20-24 gennaio 2025) e non posso evitare un pensiero che mi rimanda ai tempi di Filippo II, figlio di Carlo V, re di Spagna, di Portogallo, Sicilia, Sardegna, Napoli, nonché duca di Milano e signore di mezzo mondo, vissuto tra il 1527 e il 1598.
Certo, è un vero e proprio anacronismo. Le politiche del XVI secolo, tempo in cui Filippo II regnava in Spagna, erano ben diverse da quelle odierne, ma forse non tanto i fili economici che tessono la trama della struttura politica. Per motivi di successione dinastica, Filippo fu incoronato anche re del Portogallo nel 1580, dando così origine alla monarchia geograficamente più estesa dell’epoca, che durò sessanta anni. Non fu un impero ispano-portoghese, poiché il regno portoghese conservò le sue peculiarità amministrative e giuridiche, così come i diversi regni che costituivano la Spagna. Quel periodo è rimasto nei manuali di storia come il tempo dell’Unione Iberica (1580-1640).
Torno a Davos. La notizia parla di un incontro, dove erano presenti le spagnole Teresa Rivera (Commissario europeo per la concorrenza) e Sara Aagesen (Ministro per la transizione ecologica e la sfida demografica) e i portoghesi Pedro Reis (ministro dell’Economia) e Maria da Graça Carvalho (ministro dell’Energia). Insieme a loro un bel gruppo di manager presenti a Davos al meeting economico che si svolge ogni anno nella cittadina alpina; cioè, direttivi di grandi aziende energetiche e grosse banche. Presenti anche «diversi soci senior di McKinsey & Company», la famosa società newyorkese di consulenza strategica fondata nel 1926. Ecco il punto.
McKinsey si presenta come società di consulenza per aziende del settore pubblico e privato al fine di «trasformare il modo in cui lavorano per accelerare una crescita sostenibile e inclusiva». In questo caso l’argomento è stato un’iniziativa da loro elaborata per l’industria iberica che mira a rivitalizzare la competitività europea e promuovere la transizione energetica. Si tratta, trascrivo, di «investire di più nelle risorse più produttive, come macchinari e attrezzature, proprietà intellettuale e beni immateriali, nonché accelerare la trasformazione digitale in tutti i settori e promuovere ecosistemi che trasformino la ricerca in prodotti pronti per il mercato». Secondo l’analisi di McKinsey, Spagna e Portogallo «si trovano in una posizione privilegiata per accelerare la reindustrializzazione dell’Europa e diventare hub strategici per le industrie critiche». Il che sarà possibile se diminuiscono «gli oneri amministrativi e le procedure di autorizzazione». L’impatto sul Pil combinato dei due paesi sarebbe intorno al 15%, e genererebbe circa un milione di posti di lavoro. Il progetto contempla anche investimenti in programmi di apprendimento per riqualificare e migliorare le competenze dei lavoratori.
Josu Jon Imaz, presidente della società petrolifera Repsol, ha detto alla fine della riunione: «Massimizzare il potenziale delle capacità dell’Iberia per costruire il mix energetico del futuro richiede uno sforzo congiunto da parte di legislatori e regolatori per superare le barriere esistenti e creare le condizioni necessarie per accelerare gli investimenti in biocarburanti, idrogeno ed elettricità rinnovabile».
Dunque, cosa avrebbe detto Filippo II? Niente.
Perché non avrebbe capito nulla.
Forse avrebbe avvertito che sono più efficaci e uniscono di più gli accordi capaci di riattivare l’economia e generare posti di lavoro, che non gli sforzi diplomatici per intrecciare interessi politici. Chissà, forse non lo sapremo mai.