Invece di “scrollare”, ascoltiamoci e vogliamoci bene

A volte si sceglie di stare sui social per evitare di pensare, di restare con se stessi e le proprie emozioni e paure
ragazzi cellulare
(Foto: Pixabay)

Cristina ha appena fatto dei cambiamenti importanti nella sua vita, sta svolgendo un nuovo lavoro ed è andata a convivere col suo compagno. Una stanchezza smisurata sta caratterizzando le sue giornate, sente il bisogno di riposare e si rifugia nello scrollare continuamente il suo cellulare. Evita di stare a contatto con le sue emozioni, con il suo corpo e con quello che le sta comunicando. Si distrae pensando ad altro e con le piccole scariche di dopamina date dalle immagini e dagli stimoli digitali istantanei.

Amelia ha un incarico di lavoro che la preoccupa molto, è in ansia, racconta di avere un gran sonno, trascorre ore a vedere video sui social. Gilberto si sente molto confuso e non sa quale decisione prendere rispetto a dove vivere, guarda i profili social degli amici e gli sembra di essere “diverso” da come funzionano i suoi coetanei, così resta impantanato nelle “scelte non scelte”, che procrastina osservando le vite degli altri che sembrano migliori.

È diventato ormai di linguaggio comune il termine “scrolling”, che corrisponde al movimento del pollice che scorre sullo schermo del telefono per visualizzare le nuove notizie che si aggiornano in bacheca, nelle stories o per controllare le notifiche. È un gesto che può diventare “infinito”. I protagonisti delle storie menzionate non hanno delle vere e proprie dipendenze, ma si rifugiano in quel gesto fuggendo dalla realtà spesso scomoda o faticosa.

Ciascuna persona ha motivazioni ed esperienze passate che andranno esplorate ed elaborate, che riaffiorano nel presente in modo emotivo e condizionante. Allo stesso tempo, se stiamo su cosa possiamo fare nel momento presente, una strada da percorrere è quella di ascoltarsi e volersi un po’ più bene. Sembra una frase quasi scontata e semplice, eppure, proprio per quelle storie antiche che hanno caratterizzato la crescita e l’evoluzione di ciascuno, non è così scontato. Ascoltarsi vuol dire stare a contatto con delle emozioni che possono essere difficili da attraversare come: angoscia, vergogna, dolore… Volersi bene, vuol dire prendersi cura di se stessi. In questo caso a volte subentra una parte persecutrice che prende il sopravvento, che dice le peggiori cattiverie: non ti meriti amore, non sei in grado, non sei abbastanza, sei una brutta persona, sei strano…

È in questi momenti che la relazione terapeutica assume tutto il suo valore, rappresentando quelle mura che possono elaborare anche le emozioni più ostiche da attraversare, quelle orecchie che possono ascoltare le informazioni più difficili da accettare e il contenimento di quelle “voci” interne così antipatiche e cattive che neppure il peggior nemico è così bravo a dire. In questo contenitore protetto, Cristina, Amelia e Gilberto restano sulle sensazioni da cui scappano, gli danno voce e senso. Poichè scappare è anche andare altrove senza se stessi. La pesantezza al collo, i crampi allo stomaco, il fiato corto stanno dicendo qualcosa di importante, sono un segnale che va ascoltato. In quel respiro corto ci saranno paure vere o immaginarie, presenti o antiche… Può essere qualcosa da accettare e masticare, qualcosa da cambiare, di certo c’è bisogno di cure amorevoli verso se stessi. È così che in un luogo sicuro diamo spazio, scrolliamo emozioni e liberiamo nuove energie.

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