Il figlio del secolo

Va in onda il 10 gennaio la serie diretta da Joe Wright sulla figura di Mussolini, tratta dal romanzo di Antonio Scurati. Un'opera acclamata, discussa e potente
Luca Marinelli, protagonista di "M.. Il figlio del secolo", alla presentazione del film all'81ma Mostra del Cinema di Venezia. ANSA/FABIO FRUSTACI

E alla fine, dopo la presentazione alla Mostra del cinema di Venezia, arriva anche sul piccolo schermo – sua destinazione deputata – M. Il figlio del secolo, l’acclamata, discussa e potente serie diretta dall’inglese Joe Wright, tratta dal romanzo omonimo di Antonio Scurati, premio Strega nel 2019. 

A trasmetterla, dal 10 gennaio prossimo, sarà Sky Atlantic, con otto episodi totali rilasciati due alla settimana, sempre il venerdì in prima serata, fino al 31 gennaio (ma c’è anche la possibilità della visione on demand su Now).

M. racconta l’ascesa politica di Benito Mussolini, dal 1919, con la creazione dei Fasci di combattimento, al 3 gennaio 1925; quando, dopo l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti, il futuro duce prende su di sé, attraverso un monologo alla camera che chiude la serie, tutta la responsabilità morale e politica di quell’assassinio e di fatto, complice il silenzio dell’aula, inaugura la dittatura del ventennio.

M. è un trionfo di linguaggio, una valanga di cinema in Tv. Possiede una personalità narrativa e una forza espressiva fuori dal comune, a partire dal suo centralissimo protagonista, Luca Marinelli: abbondante, ipercinetico, decisamente vistoso eppure non debordante, non stonato, perché inserito in un contesto lavorato, disegnato a monte con cura, fatto di regia e montaggio rapidi, efficacemente sopra le righe, rumorosi, vorticosi e sfrenati come l’aria futurista del tempo e l’argomento stesso affrontato.

M. procede impastando sfumature pop a toni grotteschi, teatralità moderna a dialoghi affilati e chirurgici. Il tutto accompagnato dalla colonna sonora di Tom Rowlands dei Chemical Brothers, che unisce le inquadrature, la fotografia e gli arredi d’epoca, a tratti quasi gotici, con l’uso sapiente, delicato, originale, del materiale di repertorio.

Con questa sofisticata composizione narrativa, la serie riesce ad essere immersiva a suo modo. Coinvolgente e quasi stordente, a tratti, entrando con forza nello spettatore.

Il Mussolini di Marinelli e Wright, ma anche degli sceneggiatori Stefano Bises e Davide Serino, guarda in faccia lo spettatore: sfonda di continuo la quarta parete per una sorta di efficace straniamento brechtiano. Lo fa, tra un evento e l’altro, tra un personaggio e l’altro (tutti storici) dando la sensazione di cercare nello spettatore stesso un appiglio per esondare la sua coscienza più di quanto la corsa al potere gli consenta di fare.

Diventa una sorta di confidente silenzioso, il pubblico nascosto di questo Mussolini, un elemento a cui rivelare un sentire più profondo di quello narrato agli altri personaggi e persino al se stesso diegetico, forse.

Lo considera un ascoltatore innocuo, quando invece, proprio grazie ai suoi pensieri verbalizzati, questi è capace di mettere insieme ogni parola del protagonista, di unire i punti e costruire mille riflessioni su di lui.

Che in ogni caso non cambia la sua marcia, non si ferma e non decelera nel frammentato (ma continuo) monologo col pubblico distante. Riparte ogni volta, dopo aver tentato di sciogliere e chiarire, in qualche modo, le motivazioni e le contraddizioni del suo pensare e del suo agire. Guidato da una spinta interiore invincibile e inquietante.

È questa la chiave narrativa di un racconto che, oltre a pennellare un Mussolini verticale, stratificato, fornitore sia di domande che di risposte, si ferma sul re, Vittorio Emanuele III, e su altri personaggi allora attorno al protagonista: da Cesare Rossi a Italo Balbo, da Margherita Sarfatti alla moglie Rachele, da Cesare Forni (ma ci sono anche Giolitti e Nitti) fino a Gabriele D’annunzio, ammirato e invidiato da un Mussolini che la serie mostra in un progetto ossessivo di conquista del potere.

Un obiettivo che concepisce la violenza e la sopraffazione come strumenti per ottenerlo, e alcune sequenze, inevitabilmente – per fortuna non troppo insistite – lo (di)mostrano.

M. Il figlio del secolo – prodotta da Sky Studios e da Lorenzo Mieli per The Apartment, società del gruppo Fremantle, in co-produzione con Pathé, in associazione con Small Forward Productions, in collaborazione con Fremantle e CINECITTÀ S.p.A. – sa essere decisamente storica ed entrare in certi vicoli meno conosciuti di quel periodo, illustrando crocevia e importanti personaggi a latere del leader fascista, ma sa anche raccontare temi più universali dell’essere umano, come l’idolatria del potere e il superamento di molte cose per ottenerlo.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons