Una piccola vita al freddo e al gelo

Una riflessione sul caso del neonato trovato morto in una "culla per la vita" a Bari. Un tragico evento che ci deve portare non a giudicare, ma ad aprire gli occhi sulle tante fragilità che ci circondano
La polizia e la 'Scientifica' sul luogo dove il corpo senza vita di un neonato è stato ritrovato nella culla termica della chiesa San Giovanni Battista, nel quartiere Poggiofranco, a Bari, 2 gennaio 2024. ANSA/Donato Fasano

Aveva poco più di due settimane, probabilmente circa un mese di vita, il neonato che purtroppo, nonostante fosse stato posizionato nella “culla della vita” predisposta nella parrocchia San Giovanni Battista nel quartiere Poggiofranco di Bari, non è sopravvissuto. A poche ore da Capodanno un dramma sta dando dispiacere enorme all’intera comunità cittadina. Ad accorgersi dell’accaduto è un impresario di una ditta di onoranze funebri nelle vicinanze della parrocchia che stava mostrando il progetto che salva i neonati ai suoi collaboratori. «Uno di loro ne aveva sentito parlare ma non aveva mai visto la culla – dice – e così gliel’ho mostrata. Ho aperto il cancello prima e la porta dopo. Non riuscivo a credere ai miei occhi: c’era un neonato, un maschietto ed era morto. Era immobile, la carnagione chiara e nulla era accanto a lui: non un ciuccio, un biberon, un cambio, un biglietto». Un’amara coincidenza: «Se solo ci ripenso provo tanto dolore», afferma l’uomo che ricorda tutti i passi compiuti per realizzare la culla e il vano a sua protezione come una cosa bellissima.

Questa volta qualcosa è andato storto perché prima di tutto non è scattato l’avviso che collega il dispositivo della culla al telefono del parroco don Antonio Ruccia; l’incubatrice, poi, non si sarebbe attivata nel momento in cui il bambino è stato posto, rimanendo perciò fredda.

Sono in corso le indagini per verificare le cause del decesso per valutare se il piccolo sia stato lasciato quando ancora era vivo oppure quando già era senza vita, oltre a risalire ai motivi del malfunzionamento dei sistema di riscaldamento. Sul corpicino, sebbene livido, non sono presenti segni di violenza o chiari segni di ipotermia; inoltre, insieme al bambino, all’interno della culla non sono stati rilevati biglietti o effetti personali.

Questa volta il suono della presenza del neonato non è arrivato al telefono del parroco: «Il mio cellulare non ha squillato e quanto successo riempie il mio cuore di immensa tristezza», commenta il sacerdote che si trova a Roma. La culla della vita è uno strumento di supporto e speranza che permette ai genitori biologici di lasciare i propri figli non potendo aiutarli a crescere nel cammino della vita. Nel dramma è un gesto di speranza a nuova vita come già accaduto per i piccoli Luigi e Maria Grazia nel 2020 ritrovati proprio in quella culla.

Dietro questi abbandoni si nascondono gesti di affidamento, che però obbligano l’intera società a riflettere sull’accoglienza, sul senso di una comunità che non riesce a evitare solitudini o drammi familiari che restano isolati per tanti e privati motivi. La culla invita a prendere le distanze da ogni giudizio, ma interroga, pone serie riflessioni come uomini, donne, cittadini di ogni credo, provenienza e stato sociale.

Una piccola vita spezzata in questo modo, fatalità o meno, dovrebbe davvero far ragionare sulla preziosità di ogni singola vita, ognuna delle quali ha bisogno dell’altra. A volte il contesto in cui si vive rappresenta un vero e proprio ostacolo alla determinazione e al futuro di una vita, di una famiglia troppo spesso chiamata a sfide troppo grandi, perché forse troppo grandi sono le pretese della società in cui viviamo. Al timore e al peso del giudizio da parte degli altri, a tutti i personali sensi di inadeguatezza che spesso ingabbiano la nostra anima senza considerare che forse, fuori di noi, prima che sia troppo tardi, qualcuno che potrebbe salvarci c’è sempre. Numerose altre possono essere le riflessioni dietro questo gesto, ma enorme resta il dispiacere di una piccolissima vita spezzata “al freddo e al gelo”.

L’arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Giuseppe Satriano, scosso dal tragico episodio, invita durante le celebrazioni eucaristiche della solennità dell’Epifania a ricordare questo bambino e il tragico evento della sua morte nella preghiera dei fedeli. Il pastore della chiesa del capoluogo pugliese nella sua lettera esprime profonda amarezza: «Il neonato senza nome, ritrovato esanime nella culla, è una speranza di vita negata, e rappresenta il culmine di una serie di fragilità e difficoltà sociali, che spesso non emergono alla luce dei riflettori. È un richiamo urgente per tutti noi: nessuna vita, dal concepimento fino all’ultimo respiro, sia abbandonata nell’indifferenza. È un invito a un impegno più forte, collettivo, per dare supporto a chi si trova in condizioni di vulnerabilità, per costruire una società che non lasci indietro nessuno, anche nelle situazioni più difficili. Con amarezza profonda prendiamo coscienza che dietro la vetrina luccicante del Natale, esistono storie di solitudine, di fragilità e di disperazione, che non possiamo ignorare. Simbolo di rinascita, di solidarietà e di vicinanza, il Natale di Gesù ci invita a guardare oltre le apparenze, a cogliere le difficoltà e le sofferenze che talvolta si nascondono dietro a sorrisi forzati e auguri di circostanza».

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