Il mistero grande della vita

Manca all’umanità, afflitta dall’incedere del consumo compulsivo, un tempo di rinascita. Il benessere inteso come accumulo è una mortificazione dell’anima, la quale troverebbe più godimento nel silenzio e nella privazione, poiché la mancanza porta all’essenziale. Per questo l’incarnazione di Dio ha il volto della povertà assoluta. Essa s’impregna di natura e di uomini e si rivela a quei pastori considerati impuri che s’abbeverano dei cieli fulgidi di stelle.
La nascita di Gesù, come ogni nascita è spettacolo di bellezza assoluta e di speranza infinita. Non c’è nascita che non abbia in sé un progetto, un futuro, immaginato o semplicemente evocato, di prosperità. Essa, contrapponendosi al male, sottolinea che il destino dell’uomo è un firmamento d’amore in cui ciascuno è un dono di grazia.
«Se l’essere di Dio è immenso», ricorda Giovanni Testori sul Corriere della sera del 1978, «se è immenso che Dio ci abbia creati; ancor più immenso (proprio nell’ordine dell’immensità dell’amore), è che Egli abbia sempre pensato e voluto farsi uomo; farsi, cioè, uno di noi; poiché con quel pensiero e con quella volontà ha ricongiunto il nostro limite alla sua infinitezza; ci ha restituita la possibilità d’esistere nella speranza”. E poco importa che l’immanenza si fa carica di angosce, di dubbi, di perplesse nostalgie dell’‘età dell’oro’ e scade nella violenza più bieca e nella guerra più ottusa. L’amarezza e il dolore patiti acuiranno ancora di più quell’ansia di grazia che, a dispetto di ogni male, è inscritta nelle pieghe del Dna dell’uomo. La grazia è la cifra dell’Infinito che è in noi. “Se la nostra vita sta nel segno della finitezza”, scrive Sergio Givone, “tuttavia è con l’infinito che dobbiamo fare i conti. L’infinito è intorno a noi, è in noi, è sopra di noi, anche se non ce ne accorgiamo o fingiamo di non accorgercene».
Questo gioco di rimandi, di riverberi tra il dentro e fuori, tra il sopra e il sotto, tra la vastità dell’avere e l’intensità dell’essere è il nocciolo segreto di un’essenza che cerca di ridestare nell’uomo, in ogni tempo, il senso alto dell’umanità, ossia il desiderio profondo del bene. Non a caso nella bolla di indizione del Giubileo papa Francesco sottolinea che «nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio di attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio».
È la natura fragile e cangiante, volitiva e irrazionale dell’uomo a cui il Natale cerca di portare la novità dell’amore che capovolge il male in bene. Ma è necessario intendersi. Il bene non basta evocarlo perché si realizzi, occorre cercarlo e volerlo intensamente, altrimenti rischia di essere svuotato di contenuto e banalizzato. «Il nostro mondo – osserva Giovanni Gazzaneo su Luoghi dell’Infinito – corre veloce, vuole giocare tutto sull’istante: riduce l’eterno al presente, la verità a maschera, il noi a io, il bene ad artificio e prodotto di consumo. C’è tanta tristezza, noia e mediocrità in questo vecchio mondo trasformato in mercato globale e virtuale. Perché tutto, ma proprio tutto può essere venduto e comprato, perfino il concepimento di un bimbo. E il perfetto consumatore non è mai la persona che pensa, ma la persona che desidera di un desiderio che non conosce appagamento».
Il Natale, nonostante l’insistenza del consumismo e dell’accumulazione, trasfigura quel desiderio, donando alle nostre velleità la percezione nuova dell’altro. E così nella grotta di Betlemme, accanto al miracolo della vita rinnovata, si compie anche quello più importante della fraternità che riveste di dignità l’umanità intera nel segno dell’amore. «Solo ritrovando e riconoscendo la realtà del nostro essere creati e voluti, del nostro essere figli del Padre – annota Testori sempre sul Corriere della sera – potremo ritrovare e riconoscere in tutti gli altri uomini i nostri fratelli reali, non nominali; e potremo costituire un progetto e una realtà, non parziali e non finti, di storia di vita, dunque di società».
Nel cuore di Betlemme il mondo rinasce mediante il mistero grande della vita. E «la vita sussiste – dice papa Francesco nella ‘Fratelli tutti’ – dove c’è legame, comunione, fratellanza; ed è una vita più forte della morte quando è costruita su relazioni e legami di fedeltà». Nel cuore di Betlemme la storia si apre ancora alla speranza, ieri come oggi. «E la speranza – scrive Charles Peguy – vede ciò che sarà. / Nel tempo e per l’eternità». Tocca all’uomo colmarla di contenuti positivi, di valori indelebili di umanità.