Il mistero grande della vita

Nella grotta di Betlemme, accanto al miracolo della vita rinnovata, si compie anche quello più importante della fraternità che riveste di dignità l’umanità intera nel segno dell’amore
Natività Orvieto ANSA/Gianluigi Basilietti

Manca all’umanità, afflitta dall’incedere del consumo compulsivo, un tempo di rinascita. Il benessere inteso come accumulo è una mortificazione dell’anima, la quale troverebbe più godimento nel silenzio e nella privazione, poiché la mancanza porta all’essenziale. Per questo l’incarnazione di Dio ha il volto della povertà assoluta. Essa s’impregna di natura e di uomini e si rivela a quei pastori considerati impuri che s’abbeverano dei cieli fulgidi di stelle.

La nascita di Gesù, come ogni nascita è spettacolo di bellezza assoluta e di speranza infinita. Non c’è nascita che non abbia in sé un progetto, un futuro, immaginato o semplicemente evocato, di prosperità. Essa, contrapponendosi al male, sottolinea che il destino dell’uomo è un firmamento d’amore in cui ciascuno è un dono di grazia.

«Se l’essere di Dio è immenso», ricorda Giovanni Testori sul Corriere della sera del 1978, «se è immenso che Dio ci abbia creati; ancor più immenso (proprio nell’ordine dell’immensità dell’amore), è che Egli abbia sempre pensato e voluto farsi uomo; farsi, cioè, uno di noi; poiché con quel pensiero e con quella volontà ha ricongiunto il nostro limite alla sua infinitezza; ci ha restituita la possibilità d’esistere nella speranza”. E poco importa che l’immanenza si fa carica di angosce, di dubbi, di perplesse nostalgie dell’‘età dell’oro’ e scade nella violenza più bieca e nella guerra più ottusa. L’amarezza e il dolore patiti acuiranno ancora di più quell’ansia di grazia che, a dispetto di ogni male, è inscritta nelle pieghe del Dna dell’uomo. La grazia è la cifra dell’Infinito che è in noi. “Se la nostra vita sta nel segno della finitezza”, scrive Sergio Givone, “tuttavia è con l’infinito che dobbiamo fare i conti. L’infinito è intorno a noi, è in noi, è sopra di noi, anche se non ce ne accorgiamo o fingiamo di non accorgercene».

Questo gioco di rimandi, di riverberi tra il dentro e fuori, tra il sopra e il sotto, tra la vastità dell’avere e l’intensità dell’essere è il nocciolo segreto di un’essenza che cerca di ridestare nell’uomo, in ogni tempo, il senso alto dell’umanità, ossia il desiderio profondo del bene. Non a caso nella bolla di indizione del Giubileo papa Francesco sottolinea che «nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio di attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio».

È la natura fragile e cangiante, volitiva e irrazionale dell’uomo a cui il Natale cerca di portare la novità dell’amore che capovolge il male in bene. Ma è necessario intendersi. Il bene non basta evocarlo perché si realizzi, occorre cercarlo e volerlo intensamente, altrimenti rischia di essere svuotato di contenuto e banalizzato. «Il nostro mondo – osserva Giovanni Gazzaneo su Luoghi dell’Infinito – corre veloce, vuole giocare tutto sull’istante: riduce l’eterno al presente, la verità a maschera, il noi a io, il bene ad artificio e prodotto di consumo. C’è tanta tristezza, noia e mediocrità in questo vecchio mondo trasformato in mercato globale e virtuale. Perché tutto, ma proprio tutto può essere venduto e comprato, perfino il concepimento di un bimbo. E il perfetto consumatore non è mai la persona che pensa, ma la persona che desidera di un desiderio che non conosce appagamento».

Il Natale, nonostante l’insistenza del consumismo e dell’accumulazione, trasfigura quel desiderio, donando alle nostre velleità la percezione nuova dell’altro. E così nella grotta di Betlemme, accanto al miracolo della vita rinnovata, si compie anche quello più importante della fraternità che riveste di dignità l’umanità intera nel segno dell’amore. «Solo ritrovando e riconoscendo la realtà del nostro essere creati e voluti, del nostro essere figli del Padre – annota Testori sempre sul Corriere della sera – potremo ritrovare e riconoscere in tutti gli altri uomini i nostri fratelli reali, non nominali; e potremo costituire un progetto e una realtà, non parziali e non finti, di storia di vita, dunque di società».

Nel cuore di Betlemme il mondo rinasce mediante il mistero grande della vita. E «la vita sussiste – dice papa Francesco nella ‘Fratelli tutti’ – dove c’è legame, comunione, fratellanza; ed è una vita più forte della morte quando è costruita su relazioni e legami di fedeltà». Nel cuore di Betlemme la storia si apre ancora alla speranza, ieri come oggi.  «E la speranza – scrive Charles Peguy – vede ciò che sarà. / Nel tempo e per l’eternità». Tocca all’uomo colmarla di contenuti positivi, di valori indelebili di umanità.

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