La Crocifissione bianca

La tela di Chagall esposta al Museo del Corso a Roma. Dolore e luce di un capolavoro. Ingresso gratuito
ANSA/MAURIZIO DEGL'INNOCENTI

Era il 1938 e c’era appena stato lo scempio della “Notte dei cristalli” in cui  la persecuzione contro gli ebrei in Germania e non solo era scoppiata violenta. Marc Chagall – Mark Sagalov in russo -, impressionato da questo orrore, riversò il suo dramma nella tela oggi a Chicago e divenuta una icona dell’odio antisemita ed anche di ogni odio vero il “diverso”.

Chagall sentiva in cuore  risuonare il grido d’abbandono di Cristo come scrisse in una sua poesia e lo riversò nella tela. Spicca  l’immagine di Gesù, pallidissimo, debole e fasciato da una luce che viene dall’alto. Intorno, disperazione e morte. Ecco l’ebreo errante in fuga, la madre che stringe il bambino, la sinagoga incendiata, la barca dove alcuni tentano di fuggire verso una terra diversa, case distrutte, bandiere naziste, profeti e rabbini come fantasmi in alto a piangere sull’orrore.

E lui il Cristo, solo, veste lo scialle della preghiera intorno ai fianchi, i filatteri  in capo al posto della corona di spine: è il Servo di Jahvè della Bibbia. Il volto è di un ebreo, come lo sono i ritratti di Cristo di Rembrandt che viveva ad Amsterdam nel quartiere ebraico. Disperazione, fuga, morte. La menorah giace quasi spenta ai piedi della croce, attorno un ebreo porta al petto la scritta”sono un giudeo”, un altro  porta via i rotoli della Scrittura: un microcosmo spazzato via dal furore dell’odio dei nazisti- ma anche di noi italiani con le “leggi razziali” (per non dimenticare) di allora e forse con una certa mentalità di oggi.

La tela diventa così una esplosione di dolore che da quello del popolo ebraico si allarga ad una dimensione universale: il crocifisso ormai da secoli, e anche da parte di artisti non cristiani come Picasso o Guttuso, è simbolo della sofferenza innocente.

Tuttavia questa tela, dove ogni forma prospettica è annullata in uno spazio libero di figure sospese in terra e in aria con una fantasia innocente di tinte si direbbe “bambine”, essenziali, è anche un atto di speranza.

La luce bianca che scivola dall’alto come un fiotto ed investe la croce e il crocifisso morto con un pallore lunare è un luogo luminoso di una rinascita possibile. La morte non è la fine, si può rivivere, sperare. Come ha capito papa Francesco recandosi a visitare l’opera. Nulla  è dunque perduto, se c’è la luce. Fino al 27.1 (catalogo Sillabe)

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