Francia, il governicchio sotto l’albero

François Bayrou ha presentato a Macron la sua squadra. Si annuncia un governo fragile e instabile, come quello del suo predecessore Michel Barnier
Il primo ministro francese uscente Michel Barnier (a sinistra) tiene un discorso accanto al nuovo primo ministro francese Francois Bayrou (a destra) EPA/TERESA SUAREZ

In un altro contesto, il governo presentato sotto l’albero di Natale dal primo ministro designato François Bayrou, centrista cattolico di lungo corso, sarebbe stato un signor governo, con nomi di tutto rispetto, tra cui due ex primo ministro, Elisabeth Borne e Manuel Valls, rilanciando alcuni ministri del passato governo come Rachida Dati alla cultura, ministero centrale Oltralpe, e Gérald Darmanin agli interni, noto per le sue posizioni dure in materia di sicurezza e migrazioni per cercare di compiacere i lepenisti.

Il contesto però non è dei migliori, perché la bilancia voluta da Emmanuel Macron – che ormai viaggia su indici di gradimento attorno a un misero dieci per cento – non ha più un ago, cioè la formazione centrista del presidente stesso. Risultato: il governo Bayrou verrà sballottato come sono gli ultimi esecutivi del presidente mai amato dai francesi, tra una destra estrema che ha il potere di staccare la spina dell’esecutivo come e quando le aggrada, e una sinistra che manifesta stranamente una certa unità d’intenti, ma solo quando si tratta di dire no a Macron.

A questo proposito, non riesce proprio il tentativo del presidente di portare al governo i socialisti, separandoli dagli insoumis di Mélenchon. Questa volta il tentativo di dividere la gauche si serve del grimaldello di Manuel Valls, già primo ministro nella presidenza Hollande. Ma con risultati ancora miseri.

L’onda lunga del popolo francese dei gilet jaune che vuole sicurezza, più stabilità economica, meno migranti e meno Europa, ma che nello stesso tempo non vuol perdere i benefici sociali di cui godono i lavoratori francesi rispetto agli altri cittadini europei – orari di lavoro corti, salari alti, pensioni vantaggiose, sanità assolutamente gratis –, continua a influenzare le votazioni, mentre invece i conti pubblici sono stabilmente sul rosso profondo e il debito pubblico aumenta ai ritmi italiani di vent’anni fa.

«Dopo di noi il diluvio», si dice affermasse Luigi XV a Madame de Pompadour nel 1757, dopo la grave sconfitta militare di Rossbach. Indicendo elezioni anticipate dopo le europee, stravinte dalla destra lepenista, Emmanuel Macron ha giocato d’azzardo sulla pelle dei francesi, pensando che si fosse ancora nel XVIII secolo, e che nel frattempo la democrazia transalpina avesse trovato una sua stabilità intrinseca, che Macron pensava avrebbe agito ovviamente in suo favore: «Non c’è alternativa al sottoscritto», sembrava proclamare ai suoi concittadini dal Palazzo dell’Eliseo.

I quali, per rispondergli a tono, hanno sì detto “no” a un governo di destra, ma hanno spaccato l’elettorato in tre parti giustapposte: destra, centro e sinistra, inconciliabili per un Paese che non ha mai amato i compromessi (almeno a parole). Il risultato è sotto gli occhi di tutti, e non è pensabile che la mossa Bayrou – da notare come, dopo i giovani e i giovanissimi, Macron sia tornato ai primi ministri navigati, ai vecchioni della politica – possa riportare il sistema in equilibrio.

Macron non cederà a coloro che vogliono la sua testa: mai si dimetterà, mai. E così i governi che occuperanno il Palazzo di Matignon da qui alle prossime presidenziali – previste per il 2027 – vivacchieranno come i governicchi di italica memoria, i pentapartito, i quadripartito, persino i monocolore democristiani, in un contesto di estrema frammentazione del panorama politico transalpino, ma anche europeo.

Questa non è una buona notizia per il vecchio continente, che deve far fronte alla contemporanea crisi dei suoi due maggiori azionisti, Francia e Germania. Quest’anno le pecore e i capri si avvicinano perciò alla grotta in ordine sparso. Quali angeli verranno a raggrupparli in un gregge credibile? Si spera che non siano gli angeli della guerra.

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