Versailles, uguaglianza e rappresentanza popolare

Il rapporto fra la rappresentanza e la soluzione dei problemi vissuti dal popolo è certamente uno dei nodi problematici della democrazia, ancora di stringente attualità.
Apertura degli Stati Generali, quadro di Louis Charles Auguste Couder, Joconde database, Pubblico dominio, Wikimedia commons

La rivoluzione francese, con il suo simbolico evento della presa della Bastiglia del 14 luglio 1789, rappresenta certamente una tappa fondamentale nella storia della democrazia. L’Ancien Régime, come definivano i rivoluzionari francesi la monarchia assoluta, finisce per lasciare spazio ad un nuovo sistema di governo, tutto da costruire e da sperimentare.

In realtà quello che è successo a Parigi è l’atto finale di un processo dirompente iniziato a Versailles qualche mese prima, il 5 maggio 1789, con la convocazione degli Stati Generali da parte del re Luigi XI.

La Francia dell’epoca, con i suoi 29 milioni di abitanti (oggi ne conta quasi 65) è il più popoloso regno europeo, ma versa in una grave crisi economica e istituzionale. Il debito è enorme a causa del sostegno alla rivoluzione americana (citata nell’articolo sulla tappa di Filadelfia), e carestia e povertà colpiscono la maggior parte della popolazione.

La monarchia, con lo stuolo di privilegiati di cui si attornia, vive lontano dal mondo della gente comune, anche fisicamente: la stessa reggia di Versailles si trova a venti chilometri da Parigi. Gli Stati Generali, con i rappresentanti dell’ordine sociale – il primo stato è il clero, il secondo è costituito dai nobili, il terzo rappresenta la borghesia – sono convocati soprattutto per risolvere la questione fiscale, tema centrale dei famosi cahiers de doléances (quaderni delle lamentele) redatti dal Terzo Stato nel 1789. Infatti il clero aveva altro per la testa, e nei cahiers aveva chiesto al sovrano di abbandonare la prassi di assegnare più diocesi allo stesso vescovo e di mantenere la religione cattolica come unica riconosciuta ufficialmente. Anche i nobili erano preoccupati unicamente di mantenere lo status quo.

I cahiers del Terzo Stato contengono invece un elemento decisivo per gli eventi che seguiranno: si chiede infatti di modificare il sistema di votazione all’Assemblea degli Stati Generali, per passare dal voto per Stato al voto per rappresentanza numerica.

Nonostante fosse già stato concesso il raddoppio dei rappresentanti del Terzo Stato da trecento a seicento, agli Stati del 1789 essi rappresentano la metà dell’intera assemblea, ma sono espressione del 98% della popolazione! Comincia così a farsi strada l’idea che i numeri contano e che la rappresentanza debba essere coerente con il peso dei diversi ceti sociali. Infatti, anche con l’aumento dei rappresentanti, clero e nobili si trovano nella possibilità di mettere il veto, sommando i voti, alle proposte dei borghesi: il terzo stato ha seicento voti mentre clero e nobili hanno rispettivamente trecento voti ciascuno che sommati eguagliano i seicento del terzo stato.

Con questa consapevolezza, supportata dalla competenza giuridica di diversi dei propri rappresentanti, il Terzo Stato si batte fin dalla prima riunione per il principio “una testa, un voto”: una lotta serrata, clero e nobili pretendono di riunire gli Stati in sale separate, il Terzo Stato non ci sta ed esige che l’Assemblea si riunisca in un’unica sala. Le schermaglie continuano finché due passaggi cruciali affondano sostanzialmente il vecchio regime – lo farà simbolicamente la successiva e più nota presa della Bastiglia –: il 17 giugno il Terzo Stato si autoproclama Assemblea Nazionale ed invita gli altri due ordini ad aderirvi; in breve tempo il re, fortemente recalcitrante, si piega alla proposta.

Il luogo di riunione viene individuato nella sala del Jeu de Paume – antesignano del tennis –, all’interno di un palazzo aristocratico che diventa uno spazio aperto grazie alla presenza di gallerie per il pubblico.

Così, come nota il mentore di questo viaggio, Yves Mény, la rappresentanza in Francia nasce a porte aperte, con un coinvolgimento fattivo della “piazza”, al contrario di quanto successe a Filadelfia, dove i padri fondatori si erano riuniti a porte chiuse.

Con la conquista della sovranità popolare, i rappresentanti si trovano di fronte alla necessità di strutturare la vita parlamentare, creando ex novo quegli strumenti che sono arrivati fino a noi nei parlamenti moderni: la presidenza, il regolamento interno, l’ordine del giorno, gli interventi e le mozioni, le commissioni, la pubblicazione dei dibattiti e non ultima la collocazione fisica dei rappresentanti.

Si adotta anche la formula, proposta da Edmund Burke a Bristol nel 1774, della rappresentanza senza vincolo di mandato e Guillotin (l’inventore dello strumento taglia-teste) concepisce l’idea dell’emiciclo moderno, per facilitare i dibattiti.

La grande stagione rivoluzionaria e innovatrice non risolse nessuno dei problemi dell’epoca. È noto cosa successe poco dopo, con il Terrore e il ritorno della monarchia con Napoleone.

Il rapporto fra la rappresentanza e la soluzione dei problemi vissuti dal popolo è certamente uno dei nodi problematici della democrazia, ancora di stringente attualità.

Gli alti tassi di astensionismo, la crisi dei partiti politici – principale strumento di rappresentanza moderna –, le derive populiste e i tentavi di innovazione della forma dei partiti (che purtroppo hanno creato ulteriore disillusione), segnalano la fragilità della rappresentanza.

A questo si accompagna il grande tema della competenza, cruciale per l’efficacia di tutti gli organi rappresentativi che non possono limitarsi ad essere portatori di istanze, ma devono poi esprimerle in scelte, processi normativi, linee di indirizzo che hanno ricadute concrete.

A complicare il quadro, un sistema mediatico pervasivo alimenta un consenso di brevissimo termine. Nei problemi e nelle sfide, ma anche nelle opportunità del tempo presente, sembra evidente che nuovi spazi di rappresentanza vanno ricercati e sperimentati, così come fecero i pionieri al Jeu de Paume. Le esperienze non mancano nel nostro Paese. Lo si è visto anche nella settimana sociale dei cattolici italiani a Trieste.

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