Addio a Pontedera, quelle Api che hanno invaso il subcontinente indiano

L’Ape, il mitico triciclo apparso in Italia nel 1946 e prodotto da quasi ottanta anni a Pontedera presso lo stabilimento della Piaggio, chiude in Europa. Sopravviverà però in Asia, prodotto dalla Bajaj fin dal 1959 in milioni di esemplari
Pubblicità dell'Ape C del 1956, bozzetto realizzato da Elena Pongiglione. ANSA/ US/ MUSEO PIAGGIO +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++ NPK +++

Il sub-continente indiano (India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka e Nepal) ma anche buona parte del sud-est asiatico cambierebbero volto se la notizia apparsa in questi giorni su vari quotidiani italiani si applicasse anche a quella parte di mondo.

Infatti, l’Ape, mitico triciclo apparso in Italia nel 1946 e prodotto da quasi ottanta anni a Pontedera presso lo stabilimento della Piaggio, sopravviverà solo in Asia, mentre chiude con l’Europa. Le nuove regole europee su ambiente e sicurezza rendono, infatti, impossibile continuare a sfornare questi modelli nel nostro continente.

In effetti, è vero. Basta vivere in una delle metropoli indiane e sperimentare la differenza fra le giornate normali con decine di migliaia di autorickshaw (appunto la versione locale dell’Ape adibita a trasporto passeggeri) che si rincorrono nel traffico convulso e caotico delle metropoli indiane e i rari giorni in cui, per uno sciopero, questi mezzi – altrove chiamati Tuktuk – spariscono dalle strade. L’aria diventa immediatamente più respirabile, si riesce a vedere il colore del cielo, altrimenti offuscato dall’inquinamento impietoso di questi mezzi di locomozione, senza i quali, tuttavia, quasi due miliardi di persone si fermerebbero.

La vera fortuna dell’Ape, infatti, l’hanno fatta questi Paesi asiatici dove a fronte del successo italico dei veri modelli di Vespa e di Ape, usciti nel corso dei decenni, si sono sfornati milioni di esemplari che continueranno ad affollare il traffico di molte metropoli (e anche delle strade polverose delle campagne) dell’Asia meridionale e del sud-est asiatico.

Due storie parallele – almeno per certi versi – quella di Piaggio e quella di Bajaj, il produttore indiano delle Vespe e delle Api inventate in Italia. Nel nostro Paese il merito fu dell’ingegner Corradino D’Ascanio e di Enrico Piaggio, che nel 1946, dopo aver ideato la Vespa a due posti, tireranno fuori dal cappello magico del loro genio ingegneristico ed imprenditoriale una sorta di mezza Vespa con un pianale di carico, che poggiava su due ruote posteriori.

Si trattava di un “motofurgone” capace di trasportare fino a 200 kg. di carico. Più o meno negli stessi anni, in India, non ancora indipendente, nasce la Bajaj Auto Ltd con sede a Pune, allora cittadina a un centinaio di chilometri da Bombay (oggi Mumbai) adagiata sull’altipiano del Deccan.

Oggi Pune è una metropoli con vari milioni di abitanti. A settantatta anni di distanza Bajaj è il secondo produttore mondiale di scooter ed il quarto di motoveicoli, superato solo da case giapponesi. Arriva a produrre oltre un milione di unità all’anno. In effetti, all’atto di nascita il nome dell’azienda era Bachraj Trading Corporation Private Limited e il suo scopo era finalizzato a importare motociclette. Nel 1959 iniziò una sua produzione indiana e nel 1960 venne nazionalizzata come tutte le maggiori aziende indiane nello spirito del socialismo neruviano (di J. Nehru, primo Primo Ministro dell’India indipendente).

Fu proprio all’inizio di quel decennio che l’azienda indiana iniziò la prima fase di collaborazione con la Piaggio italiana, costruendo su licenza alcuni modelli di Vespa con marchio italiano. Dopo una decina d’anni, Bajaj e Piaggio divorziarono, ma l’azienda indiana continuò la sua produzione sulla base di disegni e macchinari acquisiti e condivisi nel decennio precedente.

La prassi era comune in India: lo stesso avvenne fra la Fiat e la Premier, con l’effetto che per vari decenni la vecchia Millecento Mirafiori era una delle poche auto prodotte in India.

Si continuò a produrre quel modello fino a quando la collaborazione riprese a metà degli anni Novanta. La Bajaj continuò a produrre sia Vespa che Ape (come mezzo di trasporto di persone, soprattutto), assicurando una alternativa al trasporto taxi, più costoso. Il successo della Bajaj sul territorio indiano e non solo è stato davvero esponenziale. La produzione toccò un totale di centomila veicoli nel 1970 per arrivare al mezzo milione nel 1986 e al milione nel 1995.

Si tratta di cifre che fanno dell’azienda indiana la capofila in India nel settore degli scooter e dei tre ruote (l’Ape appunto) con una esportazione in più di cinquanta Paesi in diverse parti del mondo. Anche l’Italia, ad un certo punto, arrivò ad importare prodotti di fabbricazione Bajaj. La ditta ha, poi, ampliato il suo raggio d’azione grazie alle collaborazioni maturate con case giapponesi.

Sebbene l’India, negli ultimi due decenni, abbia conosciuto uno sviluppo imprevedibile e il processo di produzione di autoveicoli sia cresciuto a dismisura con case automobilistiche giapponesi, tedesche, italiane e francesi, Bajaj con la sua Vespa e i suoi autorickshaw o tuktuk resta un protagonista della vita economica e del trasporto sia umano che di merci del sub-continente indiano.

Come Vespa e Ape hanno fatto la storia dell’Italia del dopoguerra fino ai giorni nostri, hanno fatto anche quella dell’India. Finito il capitolo italiano, continuerà quello indiano, dove Bajaj continuerà a sfornare Api-Autorickshaw nere e gialle per i mercati dell’Asia e di altre parti del mondo.

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