Libano, dalla tregua impossibile alla pace possibile
Abbiamo tutti tirato un sospiro di sollievo quando Israele ha accettato di sospendere le ostilità contro gli Hezbollah che occupano da decenni il sud del Paese. Joe Biden sta facendo di tutto per rimanere nella storia come uomo di pace, avendo raggiunto l’accordo di tregua per il nord di Israele, e ora impegnandosi con Blinken per ottenerne un’altra, più sudata, tra Israele e Hamas, a sud. Abbiamo tirato un respiro di sollievo, ma tregua non vuol dire pace. I politologi (e i guerrologi) troppo spesso confondono le due cose, riducendo la pace a tregua tra due guerre. Come fare per trasformare la tregua in pace nel Libano odierno? Qualche pista c’è.
Innanzitutto, c’è la sospensione del momento. Abbiamo visto tutti la grande “autostrada” litoranea del Libano presa d’assalto e rapidamente ingolfatasi pochi minuti dopo la dichiarazione della tregua. Nella mia esperienza professionale, ho sempre costatato come nella sospensione postbellica possa emergere il meglio di un popolo. Il momento è favorevole.
C’è pure da notare una duplice profonda stanchezza nel popolo, anche in coloro che aderiscono al campo di Hezbollah, forse non i combattenti stessi, ma il popolo sciita del sud sì: che la parte meridionale del Paese non sia controllata dall’esercito ma da una milizia al soldo di una potenza straniera non è più tollerata dalla grande maggioranza dei libanesi. L’altra stanchezza è determinata dall’insofferenza per una classe politica che nel suo insieme da troppi anni appare più una cupola mafiosa che una coalizione di partiti. La spartizione delle vesti del Libano permessa con l’accordo interconfessionale di Taef non è più tollerata dalla stragrande maggioranza dei libanesi, come già si era visto nella rivoluzione dell’ottobre 2019, la thaoura, soffocata dopo quattro mesi dal governo corrotto e dal covid.
C’è poi l’esercito libanese che dà speranza, non perché abbia una potenza di fuoco tale da incutere paura agli Hezbollah, ma perché è amato dal popolo: sono rare le famiglie a non avere uno o più membri arruolati. L’accordo della tregua prevede un almeno parziale ritorno dell’esercito nei gangli vitali della parte meridionale del Paese.
Altro elemento che potrebbe spingere a un certo ottimismo sul futuro del Libano è la società civile che nel Paese dei cedri conta su decine di migliaia di associazioni, create dalla generosità e dall’accoglienza dei libanesi.
E poi i libanesi sanno dare del tu al denaro: sopravvivono anche con un sistema governativo e bancario annichilito da vari fallimenti finanziari, semplicemente tornando a un’economia in contanti o su piazza estera. La produzione non s’è arrestata nemmeno sotto le bombe di Israele: un amico imprenditore nell’alta moda, che ha la sua sede a poche centinaia di metri dai luoghi bombardati nel quartiere di Basta, è riuscito a vestire Sharon Stone nel pieno dei bombardamenti israeliani.
Corollario a questo punto, c’è la straordinaria capacità del Paese di innovare e di saper far proprie le innovazioni che vengono d’altrove, a cominciare naturalmente dal digitale e dall’intelligenza artificiale.
E poi c’è la fede dei libanesi, straordinaria. La costituzione riconosce diciotto diverse comunità religiose, e un’altra dozzina prospera pur senza riconoscimento ufficiale. Se si disarmassero anche le gerarchie religiose, grandi passi in avanti sarebbero fatti.
Soprattutto, il Libano è fatto da quattro milioni e passa di libanesi sul suolo patrio e da sedici milioni in diaspora. Alcuni tra i più ricchi e influenti businessman al mondo sventolano la bandiera con il cedro verde, e migliaia di professionisti di massimo livello sono rimasti legati a doppia mandata alla loro patria dove tornano per le feste comandate. Per la loro terra sono capaci di tutto, anche di rinunciare a una parte cospicua delle proprie ricchezze.
Ciliegina sulla torta: il carattere indomito e resiliente dei libanesi, che sanno rinascere dalle proprie ceneri, sempre e comunque. Credo che, con tutte queste premesse, il Libano possa risorgere. Ma serve, ora, un’idea pacificatrice.