Trump e la politica repubblicana anti interventista

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti si sono impegnati direttamente in altre cinque guerre (Corea, Vietnam, Golfo, Afghanistan, Iraq), ma sono intervenuti indirettamente in molti più conflitti: Ucraina e Gaza sono soltanto gli esempi più recenti.  
Trump EPA/ALLISON DINNER

Storicamente sia i repubblicani che i democratici statunitensi hanno avuto politiche diverse nei confronti degli interventi militari all’estero. Fin dal primo mandato di Trump, il partito Repubblicano ha decisamente adottato una politica estera meno interventista delle precedenti amministrazioni Repubblicane, mentre l’amministrazione Biden, Democratica, è intervenuta pesantemente nei più recenti conflitti in Ucraina e Medio Oriente, anche se indirettamente.

Il nuovo orientamento del partito Repubblicano si è chiaramente manifestato per la prima volta nel 2016, quando, durante l’ultimo dibattito precedente alle primarie della Carolina del Sud, l’allora candidato Trump ha attaccato Jeb Bush, criticando duramente la guerra in Iraq voluta dal fratello, l’ex presidente George W. Bush. Questa è stata una delle prime indicazioni che Trump non sarebbe stato un candidato Repubblicano favorevole ad interventi incondizionati nei conflitti esteri.

Infatti, il suo movimento Make America Great Again (Maga) promuove un isolazionismo insolito per i Repubblicani da Reagan in poi, attirando coloro che credono che gli Stati Uniti dovrebbero risolvere i propri problemi prima di intervenire in quelli degli altri. Tra questi figurano i Libertarians, un piccolo gruppo politico che dà priorità alla libertà individuale prima di ogni cosa ed è contrario ad interventi governativi sia in ambito interno che internazionale. Ci sono anche degli ex-Democratici delusi dal recente sostegno Democratico alle varie guerre.

L’isolazionismo è coerente con l’idea di America First sostenuta dal movimento Maga, cioè porre gli interessi degli Stati Uniti al di sopra degli affari di politica internazionale. Sempre più persone si chiedono se è il caso di continuare a spendere il 40% della spesa militare mondiale (916 miliardi di dollari nel 2023).

La solita risposta degli interventisti, ovvero che bisogna proteggere il mondo dalla dittatura e dall’autoritarismo di paesi come la Russia e la Cina, non convince più tutti. In particolare in periodi di difficoltà economiche e di inflazione che hanno colpito le classi più deboli, è difficile avere sostegno politico per spese come i 64.1 miliardi di dollari inviati all’Ucraina dall’inizio dell’invasione russa. Tuttavia, la strategia di intervento estero dei sostenitori di Trump non è omogenea. Ad esempio, in questo momento i Repubblicani sono generalmente uniti nel sostenere gli interventi a favore di Israele.

Invece, mentre i Democratici hanno in passato dimostrato forte opposizione agli interventi in Iraq voluti dai Repubblicani, l’amministrazione Democratica di Biden è intervenuta sia nella guerra in Ucraina che in quella nel Medio Oriente, e la maggior parte dei Democratici continua ad approvare l’intervento americano. Però la guerra in Medio Oriente ha causato una rottura all’interno del partito Democratico.

Alcuni commentatori dicono infatti che la vice presidente Kamala Harris ha perso le elezioni presidenziali contro Trump proprio perché non è riuscita a differenziarsi abbastanza da Biden, specialmente su questo argomento. In più, durante la campagna elettorale, la Harris ha ricevuto il sostegno di personalità politiche come Liz Cheney, Hillary Clinton, e Bill Crystal che hanno sistematicamente sostenuto interventi militari all’estero. Non sarebbe una coincidenza che Harris abbia perso in Michigan, in particolare nel distretto di Dearborn, la città con la maggiore concentrazione di popolazione araba degli Stati Uniti, che tradizionalmente ha sempre votato per i Democratici.

Nel suo secondo mandato, Trump, anche se si presenta come un candidato conservatore e isolazionista, sta scegliendo un’amministrazione con diverse posizioni ideologiche in politica estera. Il team include politici fortemente interventisti come Mike Waltz e Marco Rubio, ma anche politici dichiaratamente meno interventisti o almeno più cauti, come Tusi Gabbard e Pete Hegseth. Trump ha anche promesso, durante la campagna elettorale, di porre fine in un giorno alla guerra in Ucraina. E ci sono grandi aspettative per vedere cosa farà in pratica una volta reinsediato alla Casa Bianca.

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