Cop29 in Azerbaijan, senza fondi la lotta al riscaldamento climatico

Mentre si aggravano gli effetti del riscaldamento climatico nel mondo, il consenso verso le tesi negazioniste della nuova amministrazione Usa incidono pesantemente sulla decisione di frenare il finanziamento comune per rendere possibile la transizione ecologica. Rischio sempre più elevato di aumentare il debito dei Paesi poveri. Il ruolo ambiguo della Cina mentre anche l’Unione europea frena il programma del Green Deal.  Esito prevedibile per una conferenza sul clima che si è svolta in un Paese produttore di fonti fossili
Cop29 la protesta degli attivisti climatici EPA/ANATOLY MALTSEV

La Cop29 di Baku ha rispettato le previsioni di terminare oltre la data prevista del 22 novembre. La chiusura è avvenuta la mattina del 24 alle ore 3. Anche il risultato, purtroppo, ha rispettato le attese. Il New Collective Quantified Goal (NCQG), che disciplinerà i flussi finanziari che dai Paesi ricchi dovranno affluire a quelli poveri per finanziare la transizione ecologica, appare come le briciole che cadono dal tavolo riccamente imbandito del nord del mondo. Inoltre, molte decisioni sono state rimandate alla COP30, sulla quale incombono le scelte della prossima presidenza USA di Donald Trump.

New Collective Quantified Goal

Il NCQG è uno strumento essenziale per costruire una transizione giusta capace di finanziare l’uscita dalle fonti fossili e provare a contenere il riscaldamento globale entro 1.5 gradi. Il nuovo fondo dovrà sostituire lo strumento di finanziamento dei Paesi poveri previsto durante la Cop15 di Copenaghen nel 2009. Inoltre, potrebbe funzionare come fonte per il risarcimento delle perdite e dei danni (Loss and Damage) subiti dai Paesi colpiti dagli effetti dell’innalzamento delle temperature senza esserne i principali responsabili. Nel 2009 si stabilì un impegno collettivo dei Paesi ricchi di 100 miliardi di dollari all’anno da raggiungere entro il 2020, sia attraverso fonti pubbliche che private.

La COP21 di Parigi aveva esteso tale impegno fino alla data limite del 2025.

I 100 miliardi di dollari erano più una dichiarazione di intenti, tanto che solo dal 2022, secondo le stime OCSE, si è raggiunta la cifra promessa, come da grafico elaborato e realizzato dall’OCSE. 

Le difficoltà di accordo sul NCQG

Le bozze presentate all’inizio dei negoziati della Cop29 a Baku erano state discusse tecnicamente dai negoziatori dei diversi stati parte della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici a Bonn dal 3 al 13 giugno 2024, nell’incontro intermedio in preparazione della Conferenza in Azerbaigian. Il contenuto si presentava già viziato da due posizioni contrapposte. Il NCQG, infatti, rappresenta e rappresenterà uno strumento fondamentale per permettere ai Paesi poveri di affrontare la transizione ecologica.

Il compito dei delegati alla Cop29 era, sostanzialmente, definire l’importo, la distribuzione dei finanziamenti e la modalità di raccolta, se tutta su base pubblica o mista pubblico-privato. Quest’ultima decisione molto importante per capire se gli aiuti fossero a fondo perduto oppure sotto forma di prestiti.

Primo problema, lo status della Cina

Un primo problema affrontato è stato lo status della Cina, formalmente, secondo la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici del 1992, un Paese in via di sviluppo, nonostante sia il primo inquinatore mondiale di CO2 e secondo Paese per prodotto interno lordo dietro gli Stati Uniti.

I Paesi occidentali hanno proposto di considerare la Cina un paese ricco, ma al termine delle contrattazioni, il testo passato non include la Cina fra i Paesi obbligati a contribuire, ma solo come stato partecipante al finanziamento del fondo su base volontaria e non legalmente vincolante.

Secondo problema, l’importo alla base del NCQG

Le discussioni sul nuovo fondo si sono concentrate sul quantum. L’obiettivo che i Paesi del G77, di cui fa parte la Cina, si prefiggevano di raggiungere era garantire un supporto finanziario concreto per la transizione climatica mediante fondi che non generassero debito per i Paesi contraenti. Infatti il NCQG avrà un compito fondamentale: rafforzare la fiducia tra i Paesi donatori e beneficiari attraverso uno strumento trasparente di amministrazione, che non faccia rientrare ai paesi ricchi i fondi devoluti attraverso la cooperazione bilaterale e multilaterale.

La cifra che proponevano, pari a 1.300 miliardi di dollari l’anno, era basata sugli studi di tre economisti del clima (Amar Bhattacharya, Vera Songwe e Nicholas Stern). Cifra da raggiungere gradualmente entro il 2035. Un compromesso che veniva chiesto ai Paesi ricchi per permettere il rispetto delle richieste dell’Accordo di Parigi, con i vincoli di mitigazione ai Paesi e l’uscita dalle fonti fossili.

L’accordo, invece, chiuso a Baku ha visto il prevalere delle economie più ricche. La previsione è di raggiungere la cifra di 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035, rispetto ai 1300 richiesti, con una provenienza mista da fondi pubblici e privati, alcuni a fondo perduto, altri come prestiti che genereranno un debito ulteriore, che potrebbe impedire lo sviluppo dei paesi poveri.

L’ulteriore briciola gettata a terra è stata l’annuncio di una road map verso Belém, al paragrafo 27 del testo, in cui si scrive che l’eventuale incremento a 1.300 miliardi potrebbe essere trattato assieme alla Nationally Determined Contributions, piani quinquennali di contrasto alla crisi climatica di ogni nazione, con una serie di impegni che disegnano una realtà futura fondata sulle promesse che dovranno essere mantenute. Le prossime promesse di contributo, infatti, scadranno nel 2025, proprio in occasione della Cop30 in Brasile.

Terzo problema, fondo pubblico o pubblico-privato

I paesi del G77 avrebbero preferito che i fondi del NCQG fossero a fondo perduto, provenienti da bilanci pubblici. Invece solo una piccola parte sarà a fondo perduto, mentre la maggior parte proverrà da fonti finanziarie private, generando le incertezze di un debito legato ai tassi di interesse dei mercati. Il meccanismo previsto acuirà le divisioni fra nord e sud del mondo, mediante la formazione di nuovo debito climatico che si aggiungerà a quello già presente, che strangola le economie dei Paesi del sud del mondo.

I costi mondiale della crisi climatica e la mancata risposta del G20 in Brasile

La crisi climatica ha un impatto negativo sull’economia globale di un costo stimato sui 1,5 trilioni di dollari all’anno. Proprio per questo a Baku ci si aspettava molto dalla dichiarazione del G20 in corso in Brasile durante lo svolgimento della COP29.

I Paesi ricchi, invece, non sono andati oltre l’invito a ragionare nell’ordine di migliaia di miliardi sulla finanza climatica, ma senza nessuna indicazione diretta sui NCQG. Di fronte all’attuale emergenza che si sta già evidenziando in tutta la sua tragicità in ogni parte del pianeta, i Paesi sviluppati hanno promosso la Global Initiative for Information Integrity on Climate Change, una campagna coordinata contro la disinformazione, che è stata ritenuta un ostacolo ai progressi globali sui cambiamenti climatici. Una briciola rispetto al pasto che consumano ogni giorno le scelte fatte degli Stati sviluppati del G20 per promuovere un’economia di guerra. Qualsiasi conversione ecologica è, quindi, subordinata all’uscita da questa spirale di investimenti per le armi che alimentano una contrapposizione fra stati che mina qualsiasi multilateralismo.

Le buone notizie: approvato il mercato dei carbon credits

Annunciata già all’inizio della COP29, è stato approvato un testo che regola il mercato dei crediti di carbonio per compensare la CO2 prodotta in eccesso rispetto al limite, con l’acquisto della CO2 non prodotta da altri. Il meccanismo previsto dall’articolo 6 dell’Accordo di Parigi del 2015 era divenuto negli anni un sistema fuori controllo e questo passaggio potrà permettere di far entrare in vigore un sistema internazionale univoco.

Le buone notizie: la dichiarazione sulla Green Digital Action

Il lancio della Green Digital Action Declaration è il primo passo che i Paesi fanno nel riconoscere l’enorme impatto delle tecnologie digitali sull’ambiente. L’impegno successivo sarà abbassare i consumi e mitigare le emissioni a danno del clima per poter contribuire a mantenere l’obiettivo dell’incremento entro 1,5 gradi. I firmatari si sono impegnati anche a trovare percorsi di ricerca comune per identificare quelle pratiche digitali e tecnologiche da utilizzare per la lotta ai cambiamenti climatici, con l’impegno di condividerle con i paesi più vulnerabili.

Rinviati a Bonn 2025 molti temi importanti

I molti temi non definiti in questa conferenza sono stati rinviati a giugno 2025 a Bonn, nella sessione intermedia prima della Cop30 a Belém, in Brasile.

L’elenco è lungo e riguarda, oltre all’importo da finanziare del NCQG, anche:

  • La revisione dell’Adaptation Committee, un organismo che si occupa di promuovere un’azione rafforzata sull’adattamento ai cambiamenti climatici.
  • La revisione del “Meccanismo internazionale di Varsavia”, stabilito alla COP19 del 2013, non ha permesso di superare uno strumento soffermatosi più sulla ricerca e sul dialogo che nell’istituzione di un fondo effettivo per risarcire i Paesi danneggiati. Quest’ultimo (il Loss and Damage) era stato rinviato alla COP29 dopo le prime decisioni prese alla COP27 di Sharm el-Sheikh e l’istituzione del fondo, senza regole su come gestirlo, alla COP28 di Dubai.
  • Il Global Stocktake (GST), il Bilancio globale con il quale si potranno valutare i progressi ottenuti dai vari Paesi per rispondere alla crisi climatica in atto, secondo le misure dell’Accordo di Parigi del 2015, non è stato migliorato e integrato rispetto al testo uscito alla COP28. La COP29 ha ignorato uno strumento importante di valutazione e azione che, senza impegni certi soprattutto economici, come il NCQG, non servirà a nulla.
  • Il programma di lavoro sulla mitigazione non ha presentato alcun riferimento a un superamento delle fonti fossili, come era ovvio per una conferenza che si è svolta in un Paese produttore di fonti fossili.

La fragilità dell’Europa

L’Europa esce da questa conferenza più fragile, sia per le divisioni fra gli stati dell’UE, con alcuni Paesi che hanno cambiato indirizzo sulla crisi climatica dopo l’invasione russa dell’Ucraina, sia per il raffreddamento sul Green Deal Europeo, con una nuova commissione composta anche da elementi più tiepidi verso la transizione ecologica. Inoltre, l’Europa potrebbe divenire il primo donatore climatico mondiale dopo la dichiarazione di Trump sull’uscita degli USA dall’Accordo di Parigi, mettendo in crisi le istituzioni europee. Infatti, a fronte di un enorme sforzo economico, i cittadini non vedranno risultati rispetto ai cambiamenti climatici. Tutti gli sforzi saranno nulli senza l’apporto determinante degli Stati Uniti. 

L’ombra dell’America di Trump e della Terza guerra mondiale a pezzi sul futuro

I primi effetti della politica ambientale del futuro presidente USA Donald Trump sono già visibili. Il primo effetto è stata la decisione presa dal presidente ultra-conservatore dell’Argentina Javier Milei di ritirare i delegati presenti alla Cop29.

Il prossimo presidente USA ritiene che il cambiamento climatico non sia di origine antropica e che gli studi dell’IPCC, alla base dell’obiettivo di contenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi, siano il frutto dell’ideologia ambientalista.

L’ombra del negazionismo di Trump ha già contagiato la Cop29, che ha evitato di prendere decisioni importanti. La Cop30 si presenta, quindi, in salita. Non solo per l’ideologia negazionista della futura amministrazione Trump, ma anche per un’economia internazionale sempre più armata e divisa fra blocchi contrapposti.

Le guerre in corso, dal Medio Oriente all’Ucraina, dall’infinita guerra nel cuore dell’Africa, nella Repubblica Democratica del Congo, fino alla crisi di Taiwan e al contenimento messo in atto dagli USA della potenza cinese, sono il vero freno alla transizione.

Un futuro difficile

La Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, fondamento delle Conferenze delle Parti, non potrà essere ancora il volano di un cambiamento in quanto sta fallendo l’idea di costruzione delle relazioni internazionali su basi multilaterali.

I movimenti politici nazionalisti, che pongono al centro dell’azione i soli interessi nazionali e negano o frenano sulla crisi ecologica in atto, avranno un valido alleato nei prossimi quattro anni per fermare il sistema delle conferenze delle parti, il negazionismo della prima potenza al mondo.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons