Il bostrico nelle foreste italiane
Il 29 ottobre 2018, sei anni fa, l’uragano Vaia rase al suolo in poche ore, forse decine di minuti, da cinque a sette milioni di alberi in tutto il nordest d’Italia. I danni più gravi però dovevano ancora venire e se ne parlò subito, all’indomani dell’uragano, tanto che “far presto” pareva essere la parola d’ordine in quei giorni con milioni di abeti a terra; bisognava far presto, si diceva, prima che arrivasse il “bostrico”.
E seppure “bostrico” possa essere parola dal vago tono lugubre e minaccioso, l’Ips typographus, questo è il suo nome scientifico, è un ingenuo coleottero, famiglia dei curulionidi; è lungo pochi millimetri ed è ospite naturale degli ecosistemi forestali. In fase endemica, la bestiola svolge un ruolo abbastanza utile perché attacca le piante più deboli e comunque quelle giunte alla fine del loro ciclo vitale collaborando al rinnovamento del bosco.
Il piccolo coleottero penetra la corteccia dell’albero e scava caratteristici cunicoli tra la corteccia e il sottostante strato vegetativo dell’albero. Nutrendosi della linfa, l’animaletto interrompe i canali linfatici e sottrae nutrimento all’albero che in breve tempo ingiallisce e muore. È l’abete rosso (Picea Abies) la vittima preferita dal bostrico anche per la relativa sottigliezza della sua corteccia. Con l’uragano Vaia, la enorme quantità di abeti caduti offriva all’insetto possibilità di proliferazione mai avute; di qui “l’allarme bostrico” perché si sapeva che la bestiola, oltre agli alberi caduti, potesse attaccare anche il 20% di piante sane.
Malgrado le precauzioni, l’attacco parassitario è puntualmente arrivato tra gli alberi sopravvissuti all’uragano. Ora, sei anni dopo Vaia, accanto alle lacune degli alberi abbattuti dall’uragano si vedono ampi tratti di bosco ingiallito, morto. Nelle regioni del nordest i boschi infestati dal bostrico mostrano ora ampie macchie di giallo o di grigio. Percorrendo le valli di Primiero e di Fiemme ma anche di Comelico, dell’Alto Agordino, dell’Altopiano di Asiago, fino ai boschi della Carnia in Friuli, si ha in certi tratti la visione di interi fianchi della montagna prevalentemente ingialliti.
L’esperienza e i libri dicevano che un attacco di bostrico arrivasse al suo massimo in cinque anni, eppure, a sei anni da Vaia, l’attacco non sembra recedere, anzi persiste. Al clima relativamente mite degli ultimi inverni sono sopravvissuti più individui del previsto, inoltre primavere precoci ed inverni tardivi hanno allungato la bella stagione e permesso lo sviluppo, in un solo anno, non di due ma tre generazioni del parassita con la conseguente crescita numerica esponenziale del numero di individui. È presto per fare bilanci mentre l’attacco è ancora in corso ma per ora il bostrico ha già attaccato e ucciso il 14 o 15% degli abeti: circa il doppio dell’uragano che ne rase al suolo il 7%.
Per la qualità ed il valore commerciale del legno di abete, nel secolo scorso, furono piantati boschi di solo abete rosso: boschi dunque “monospecifici e coetanei”. L’ aplomb di questi alberi della stessa specie e della stessa età è suggestivo e contribuisce, a nostro avviso, a conferire mistero e magia al bosco ma piante tutte uguali tra loro sono tutte ugualmente suscettibili di attacco parassitario; si sostiene che questo abbia enormemente favorito l’epidemia.
Di fronte a uno scenario da calamità naturale sorprende la tranquillità degli addetti ai lavori. La natura, essi dicono, ricompone sempre gli equilibri e, col tempo, ripara sempre i guasti che ha prodotto. Questa fiducia negli equilibri della natura pare ispirare la sostanziale tranquillità dinanzi a quella che ad occhi profani appare come una vera, angosciosa calamità. Non sembrano preoccupati i responsabili del Parco Naturale di Paneveggio Pale di San Martino, impegnati, pare, nel riparare i danni facilitando processi che sarà il bosco stesso a far procedere.
Un clima di altrettanta tranquillità si respira alla Stazione forestale demaniale di Paneveggio ed al Centro dei visitatori del Parco. Gli addetti ai lavori immaginano, direi sognano, oggi sani “boschi misti” con alberi di specie diverse, sia conifere che latifoglie, piante di età e specie diverse con differente suscettibilità, ai vari tipi di insulti atmosferici e parassitari.
Un esempio di “bosco ideale” è visibile in un esperimento di rimboschimento vicino alla Stazione forestale demaniale di Paneveggio, nella zona in cui Vaia ha abbattuto ventisette ettari di bosco con migliaia di esemplari di “abete armonico”. Qui adesso i giovani abeti rossi crescono accanto a larici, mughi, cirmoli, ma anche faggi, frassini e betulle.
E non si può non notare i robusti recinti di rete metallica che circondano le aree di rimboschimento per tener lontani i cervi che amano brucare le tenere giovani piante ignari che da esse dipendano la vita ed il futuro del bosco.
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