Ho un sogno: costruire “mine di pace”

Da fabbricante di strumenti bellici a operatore umanitario. La storia di Vito Alfieri Fontana ci parla di azioni concrete che possiamo intraprendere per contrastare la violenza della guerra.
Iniziativa in solitaria di un cittadino con la bandiera della Pace esposta in piazza della Libertà in occasione della visita del Ministro Matteo Piantedosi ad Avellino per l'apertura del G7 dei ministri dell'Interno. 2 ottobre 2024. ANSA / CIRO FUSCO

Ora è “di turno” l’Ucraina. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha accettato di fornire a questo martoriato Paese mine antiuomo. Una mossa pericolosa dell’amministrazione uscente degli Stati Uniti per rallentare la guerra (solo due anni fa Biden aveva bollato come “sconsiderata” la scelta di Trump di reintrodurre l’uso delle mine antiuomo). Anche se ora si è precisato che saranno “mine non persistenti” (che dovrebbero non più esplodere dopo un periodo di tempo prestabilito), la questione rimane drammaticamente aperta: siamo di fronte a una decisione disperata che evidenzia mancanza di prospettiva con il rischio di prolungare un conflitto già devastante.

Sembra che nulla si sia imparato dal recente passato. Dopo 40 anni di guerra, gli ordigni inesplosi continuano a infestare l’Afghanistan: da un lato povertà estrema, dall’altro bombe ovunque. Anche l’Iraq continua a essere tra i Paesi più contaminati da mine al mondo: vite di intere popolazioni che vengono fatte saltare ogni giorno, come documenta Emergency.

Molte sono le vittime soprattutto tra i giovani. Ad Aso Muhamad, un giovane di 16 anni che vive nel Kurdistan iracheno, è bastato scambiare una mina per oggetto qualunque per poi saltare in aria; ora ha due protesi e segue un percorso di fisioterapia in un Centro di riabilitazione di Emergency. A Mohammad, in seguito all’esplosione di una mina, mentre stava giocando in giardino, hanno dovuto amputare l’avanbraccio destro e le dita della mano sinistra. Nabiullah ha solo 7 anni e già deve provvedere alla sua famiglia frugando tra i molti oggetti metallici lasciati per strada da cui ricavare qualche soldo al mercato.

Di fronte a questa disumana escalation possiamo fare qualcosa? Muovere le coscienze, protestare, convincere le nostre tremolanti politiche a osare di più. Serve diffondere un maggior impegno nel dialogo e nella mediazione dei conflitti. In ogni campo, nelle nostre famiglie, tra vicini, tra gruppi, tra stati. Ora c’è bisogno di inventarsi e far proliferare e diffondere molte “mine di pace”. Ne stiamo producendo troppo poche… Serve disseminare questi “ordigni” nelle nostre strade, nelle scuole, nei discorsi. Prima di tutto nelle menti pensanti e nei cuori buoni di chi non si rassegna alla logica di aggressione e di guerra imperante nel mondo.

Di questo impegno, portato fino in fondo ogni giorno, ci offre la sua coraggiosa testimonianza Vito Alfieri Fontana in Ero l’uomo della guerra: da fabbricante di armi e di mine anti-uomo a sminatore. La sua redditizia azienda bellica progettava, costruiva e vendeva milioni di mine antiuomo. Da quasi vent’anni Vito Alfieri Fontana ora disinnesca migliaia di mine lungo la dorsale minata dei Balcani, dal Kosovo alla Serbia fino alla Bosnia: un racconto senza reticenze delle due vite che egli ha vissuto: da fabbricante di strumenti bellici a operatore umanitario. Tutto nasce nei primi anni Novanta, quando il figlio gli chiede: «Ma tu, papà, sei un assassino?», innescando una lacerante conversione personale che lo porta a cambiare vita.

Non tutti abbiamo vissuto situazioni simili, ma tutti abbiamo negli occhi lo straziante grido di tanti innocenti: “Perché?”. Non si può rimanere muti e guardare altrove.

__

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it
_

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons