Abbandonare gli amori scadenti: riflessioni sulla violenza di ieri e di oggi

Una riflessione stimolata dall'anniversario della morte di Giulia Cecchettin su che cosa significhi oggi "patriarcato" e su come essere agenti consapevoli di cambiamento
Il corteo dell'associazione contro la violenza sulle donne, Roma, 25 Novembre 2023. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Ogni anno, novembre ci avvolge con le sue giornate gelide, portando con sé il ricordo di tragedie che lacerano la nostra memoria collettiva come quella di Giulia Cecchettin, vittima di femminicidio. La recente polemica tra il Ministro Valditara ed Elena Cecchettin, sorella di Giulia, ha riacceso il dibattito sul patriarcato e sulle implicazioni nella società contemporanea. Valditara ha definito la lotta al patriarcato come una “cultura ideologica” e ha collegato l’aumento delle violenze sessuali all’immigrazione illegale. Elena ha criticato il tentativo di distogliere l’attenzione dalle radici culturali della violenza di genere, ricordando che sua sorella è stata uccisa da «un ragazzo bianco, italiano e “perbene”». Questo confronto sembra evidenziare visioni opposte: da un lato si tende a sminuire l’importanza del patriarcato come sistema sociale, dall’altro si riconosce il suo ruolo ancora attuale nel favorire la violenza contro le donne. La discussione solleva interrogativi sulla necessità di affrontare le cause profonde della violenza di genere e sull’importanza di riconoscere le dinamiche patriarcali ancora presenti nella società.

Il patriarcato non è un concetto astratto, ma una realtà concreta.

La violenza sulle donne non si limita solo a quella fisica che si cela nei lividi sulla pelle, evidente e devastante, ma anche quella silenziosa e invisibile che si annida nei rapporti di potere, nelle parole che umiliano, nei gesti che annullano e corrodono l’anima. Una violenza che attraversa i secoli, immortalata dalla letteratura e testimoniata dalla storia, che persiste oggi, richiamandoci a una lotta ancora aperta.

Virginia Woolf, in Le tre ghinee, descriveva l’ambiente opprimente in cui le donne venivano educate alla passività, private di autonomia e costrette a interiorizzare il proprio ruolo subordinato.

Quello stesso meccanismo psicologico si ritrova oggi nelle relazioni tossiche, dove l’abuso psicologico si insinua come un veleno lento. È l’annullamento sistematico dell’altro, il gaslighting che deforma la percezione della realtà, il controllo mascherato d’affetto. Quante Anna Karenina, quante Madame Bovary della nostra epoca vivono prigioni invisibili, intrappolate da legami che distruggono l’identità? Le streghe di Salem furono vittime di un potere che aveva bisogno di capri espiatori. La storia è piena di esempi di donne accusate, condannate, zittite per aver sfidato l’autorità o, semplicemente, per essersi fidate delle persone sbagliate. Il loro dolore è stato narrato dai grandi scrittori, ma non ha trovato fine nei confini della finzione letteraria.

Se la storia sembra lontana, basta guardare alle dinamiche di oggi. Lo schema si ripete: l’abuso emotivo e psicologico, oggi, si manifesta in relazioni che si nutrono di manipolazione e dominio, lasciando cicatrici profonde che nessuno vede. Esistono abusi nascosti e più dolorosi, quelli che avvengono sotto l’ombra di un’autorità consacrata. Sono gli abusi di coloro che, pur essendo simbolo di compassione, dedizione e cultura, hanno ridotto al silenzio le donne, accusandole di essere tentatrici, fonti di scandalo, colpevoli della “fragilità” di chi abusa di loro. Abusi che si nutrono di un potere carismatico per insinuare vergogna, relegando le vittime alla clandestinità additandole come bugiarde o visionarie.

Queste donne, che spesso hanno cercato aiuto e conforto, si sono trovate rinnegate, respinte, costrette a reprimere il dolore e a soffocare la propria verità per proteggere istituzioni o figure sacre di cui erano affascinate. In molti casi, l’abuso si estende anche oltre il confine del rapporto personale e si infiltra nei luoghi di lavoro comuni. Sono consacrati che, dopo aver intrattenuto una relazione con una donna, non solo riversano su di lei tutta la colpa, ma sfruttano anche la loro posizione di potere per sabotarne il percorso professionale. La “punizione” diventa una forma di controllo: la privano di opportunità, le chiudono porte, le “tagliano le ali” in ogni spazio dove condividere lavoro e carriera, trasformando un ambiente di collaborazione in una gabbia in cui il silenzio e l’oscurità nascondono l’ingiustizia. La loro professionalità, i loro sogni e le loro competenze vengono stritolati da una logica di dominio, una vendetta ammantata di autorità.

Il patriarcato non è una ideologia, ma permea le relazioni personali e professionali, spesso mascherandosi dietro ruoli di cura, autorità e persino spiritualità. È una realtà che non si limita al passato, ma si ripete oggi, richiedendo un impegno collettivo per la sua trasformazione culturale.

Le strutture di personalità abusanti, infatti, non sono inevitabili. La storia ci insegna che il cambiamento è possibile quando si agisce con consapevolezza. Educare alla parità e al rispetto reciproco, alla consapevolezza emotiva e relazionale, è un primo passo: insegnare a riconoscere le dinamiche tossiche, a rispettare il valore intrinseco di ogni persona, a sfidare le narrazioni di colpa e vergogna che additano le donne come tentatrici o colpevoli per i fallimenti altrui. Serve una cultura che dia spazio alle voci delle vittime, ma anche istituzioni religiose che offrano supporto psicologico e legale, dove le donne possano sentirsi al sicuro nel denunciare.

È essenziale promuovere trasparenza e responsabilità, soprattutto in ambienti ecclesiali, dove la sacralità non deve mai essere usata come scudo per l’abuso. Per prevenire e debellare queste violenze, serve un impegno collettivo intorno allo stesso abusatore. Occorre una supervisione istituzionalizzata, e dei programmi specifici di formazione per il clero e per i consacrati che metta al primo posto la dignità di ogni persona. Solo con una cultura della responsabilità e dell’autenticità si potrà ripristinare la fiducia e fermare il ciclo dell’abuso. Oggi ascoltiamo il grido di ogni forma di abuso, che tradisce la fede, la fiducia e la giustizia e ricordiamo quelle voci silenziate di donne che ogni giorno si trovano intrappolate tra la paura di essere sole e il bisogno di liberarsi. Come nella parabola di Antigone, dobbiamo imparare a dire “no” all’ingiustizia e al silenzio. Ogni donna ha diritto alla libertà, alla sicurezza, alla pace, e anche al rispetto della propria dignità personale e professionale.

Giulia Cecchettin rimane un astro che brilla nell’oscurità conducendoci tutte e tutti a rafforzare l’impegno per spezzare il ciclo della violenza, perché il vero amore, anche nelle sue forme più sacre, non ha mai bisogno di sminuire, di controllare, di abbattere nessuno.

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