Astensionismo, assenza di speranza o scelta consapevole?

Alcune considerazioni del responsabile dell'Ufficio pastorale sociale di Piemonte e Valle d'Aosta sull'astensione registrata alle ultime elezioni.
ANSA/ANGELO CARCONI

Alle elezioni in Liguria l’affluenza alle urne si è fermata al 46 per cento. Anche alle ultime regionali è calata di nuovo e in modo drastico, ferma in Emilia-Romagna al 46,42% (contro il 67,67% del turno precedente) e in Umbria al 52,03% (64,69% alle scorse regionali). Ci stiamo assuefacendo alla progressiva erosione del corpo elettorale, al pianto del giorno successivo per la mancata partecipazione, ai grandi editoriali sull’astensionismo, all’indignazione che dura giusto un paio di giorni. Il problema è molto serio: per vincere le elezioni può bastare convincere una minoranza del 20-25 per cento degli aventi diritto. Una debolezza intrinseca, strutturale, che espone ad abusi e a rischi per la tenuta della democrazia. Proprio perché la domanda lascia spazio a svariate risposte e argomentazioni, proviamo a interrogarci seriamente, visto che sembra sempre più centrato il tema delle Settimane sociali di Trieste e il dopo Trieste: “la partecipazione cuore della democrazia”.

La campagna elettorale ormai viaggia sui social e negli incontri riservati ai gruppi di interesse
La campagna elettorale è stata abbastanza fiacca come possono testimoniare i cittadini. Non ci sono stati comizi. Ormai in piazza non se ne fanno più. Tutto avviene sui social o negli incontri promossi dalle associazioni della società civile o da gruppi di interessi economici. È ciò che accade in tutta Italia, ma appare strano per Bologna dove c’è una forte presenza di associazionismo e dove forse i cittadini sarebbero ben contenti di partecipare ad un comizio vecchio stile in qualche piazza. E ce ne sono di piazze in città. Ma tutti però decidono poi di promuovere incontri in luoghi chiusi, non soltanto per le condizioni climatiche, non fa molto freddo, ma soprattutto perché è molto più interessante capire chi sono i reali potenziali elettori, i loro interessi, così da indirizzare la discussione verso le esigenze di chi si ha di fronte. Molto più facile. Ma ciò significa che chi andrà a votare fa parte di qualche realtà organizzata interessata a sostenere piattaforme particolari.

La politica non dà risposte concrete ai problemi delle persone
Da una parte, a destra in genere, c’è solo demagogia, a sinistra si elencano le problematiche, ma sul da fare concreto c’è troppa vaghezza. Inoltre, viviamo in un periodo in cui le persone sono per lo più disinteressate alle questioni diciamo “ideali”, come la giustizia, il superamento delle differenze razziali, il contrasto ai cambiamenti climatici e via dicendo.

Non va a votare chi non ha più speranza
Oggi si vota sempre meno perché la politica è diventata fumosa, gli schieramenti sono sovrapponibili a parte alcune differenze. Insomma, manca un progetto sociale ed economico che possa motivare al voto. Infine, prevale l’interesse individuale su quello collettivo già da molti anni, a partire dall’era Berlusconi. Nemmeno il rischio di un’involuzione autoritaria mobilita gli elettori, perché sono diffuse ignoranza e disinformazione. Non si vota più perché la politica è percepita distante dai reali problemi del paese. Inoltre, in un clima di incertezza così marcatoa sul futuro dei grandi e dei piccoli si preferisce stare in branco con qualcuno che ha idee simili alle proprie, così ci si sente protetti. Difficilmente si riuscirà a invertire il trend se non con argomenti che riguardano la pancia.

La politica deve fare una scelta di campo netta
Dovrebbe indicare a chiare lettere come risolvere le disuguaglianze sempre più evidenti nella popolazione: patrimoniale, tassazione progressiva, prelievo dell’Iva alla fonte, sostegno alle imprese che investono e non distribuiscono i dividendi, politiche industriali all’insegna del rispetto dell’ambiente, politiche migratorie di inclusione, sanità pubblica efficiente, investimenti massicci nell’istruzione e nella ricerca, politiche di sostegno al lavoro, soprattutto quello povero.

Su entrambi i fronti, i deficit progettuali per gestire i cambiamenti che tutti vedono incombenti, pesano come macigni sulla quadratura del cerchio tra IO e NOI, invogliando alla diserzione. Sul lavoro e il welfare bisogna tornare ad elaborare proposte di medio-lungo periodo, per le quali la regola non può essere che vanno accontentati tutti, anche perché implicano strategie di sviluppo e di tutela del benessere quantomeno europee, profonde modifiche del sistema fiscale, valorizzazione della qualità dell’educazione di base e permanente dei cittadini, riduzione delle disuguaglianze di genere, sociali, economiche e territoriali. Tutte questioni che, anche se non ci fosse l’alto tasso di astensionismo, andrebbero messe in fila e tradotte in programmi condivisi.

Soprattutto per le forze politiche progressiste, non è sufficiente lanciare parole d’ordine allettanti. Per essere forze di governo, occorre sia recuperare i voti scappati via (anche in Francia e altri paesi della socialdemocrazia europea una parte consistente degli operai vota a destra), sia rimotivare chi è finito nel mega bacino dell’astensionismo pur non parteggiando per l’antipolitica. C’è la necessità di trovare risposte adeguate a tante questioni cruciali, quelle che alimentano paure e incertezze: le guerre, i capovolgimenti climatici, le violenze urbane, l’immigrazione incontrollata, i fanatismi religiosi. Ma anche le tre aree di problemi appena sintetizzate devono essere affrontate senza sotterfugi.

Associazionismo sociale
C’è anche la necessità che i corpi intermedi della società (da ex sindacalista lo dico), primi fra tutti i sindacati confederali, intervengano nella costruzione di una coscienza e di una cultura della partecipazione forte ed unitaria. Purtroppo stiamo assistendo ad un oscuramento del ruolo dell’associazionismo sociale, ad un crescendo di corporativizzazione delle loro istanze, crescenti al crescere delle mancate risposte. Invece, più c’è aggregazione sociale, più c’è mobilitazione riformistica, più netta diventa la qualità delle proposte, meno facile potrà risultare l’offensiva di quanti, indifferenti all’andamento astensionistico, puntano soltanto all’occupazione del potere politico.

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