Migranti in Albania: il Bangladesh è un Paese sicuro?
Nelle ultime settimane, nonostante ben altri accadimenti a livello mondiale, si è spesso parlato di Bangladesh, un Paese per il quale l’Italia non ha mai mostrato un particolare interesse, nemmeno nei momenti più tragici che quella nazione ha attraversato nel corso dei decenni – anche recentemente – dopo la sua indipendenza nel 1971. La questione attuale, come si sa, riguarda la possibilità o meno che il Paese asiatico sia definibile come “sicuro” nell’ambito della diatriba politica sul trasferimento nel nuovo hotspot in Albania di migranti che giungono illegalmente in Italia.
Nelle scorse settimane, dopo le questioni suscitate dagli organi competenti sulla sicurezza o meno di Paesi come Bangladesh ed Egitto, abbiamo sentito di tutto. Le diverse posizioni, come spesso – sempre più spesso – accade sono ben lontane dalla realtà. Infatti, chi parla, a prescindere da una reale competenza, difende – o deve difendere – le posizioni politiche di appartenenza, approfittando della diffusa ignoranza che la nostra opinione pubblica ha su situazioni a livello internazionale.
Nel caso del Bangladesh, si è spesso sentito dire, soprattutto da chi è interessato a difendere la scelta del governo, che si tratta di un Paese sicuro e ne è garante l’attuale presidente ad interim, Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace. Purtroppo, si tace che tale scelta è stata fatta su richiesta popolare, dopo mesi di manifestazioni anche violente, soprattutto, ma non solo, studentesche – ne abbiamo parlato anche noi su Città Nuova online – culminate nella fuga precipitosa della presidente in carica, la premier Sheikh Hasina da 15 anni al potere, e ora in un rifugio segreto in India.
Yunus, che ha accettato la grande sfida per traghettare il Paese sull’orlo di un crollo politico e sociale fino a elezioni sicure e regolari, si trova ormai da cento giorni in carica. Il bilancio non è lusinghiero. È bene ricordare che Yunus è un economista, padre del micro-credito, ma ben lontano da una preparazione e vocazione politica. Ovviamente, non si può pretendere di risolvere in poco più di tre mesi i problemi di uno dei Paesi più poveri al mondo, con duecento milioni di abitanti, spesso colpito da cicloni devastanti e con pesanti problemi sociali.
Quello che ha prodotto la grande rivolta culminata con l’imposizione del coprifuoco, la fuga della leader storica e la chiamata di Yunus a condurre il Paese, era un grido inascoltato per decenni di una maggiore armonizzazione sociale in un Paese dove le differenze economiche e le conseguenti discriminazioni sono tremende e dove, fra l’altro, esiste anche un problema acuto di convivenza sociale armonica fra persone di diverse religioni e gruppi sociali e tribali.
Il governo provvisorio guidato da Yunus ha fatto promesse precise per realizzare un Paese sempre più inclusivo. Realisticamente, tuttavia, non è pensabile di poter risolvere in pochi giorni retaggi di secoli. Ovviamente, l’opinione pubblica che tacitamente attendeva miracoli è oggi scettica, se non delusa, dai primi risultati. Inoltre, l’inflazione, che era già galoppante sotto il regime di Hasina, non accenna a fermarsi, aggravando la questione della sopravvivenza quotidiana di una popolazione in gran parte assai povera.
In questo ambito, il governo non ha ancora intrapreso un’azione chiara per fermare la perdita di valore della moneta locale. Inoltre, anche l’ordine pubblico rimane precario. Sebbene il governo abbia stabilizzato i disordini che hanno preceduto e accompagnato la cacciata del precedente esecutivo e della premier Hasina, continua la minaccia costituita da gruppi criminali, e le tensioni sociali non hanno ancora registrato miglioramenti significativi. In particolare, negli ultimi tempi, preoccupano attacchi alla comunità indù, fortemente minoritaria in Bangladesh, Paese quasi completamente musulmano. Oltre all’instabilità interna, questi attacchi di carattere socio-religioso potrebbero minare il rapporto con il grande vicino di casa, l’India sempre più Bharat: la nazione degli indù.
Un ulteriore problema irrisolto è quello della riforma elettorale. Si trattava della promessa fondamentale formulata dal nuovo governo per poter garantire elezioni prossime e regolari, dopo anni di controllo da parte della premier Hasina e del suo partito. Ma non sembra esserci nulla in vista. Infine, come in molti Paesi a stragrande maggioranza musulmana, vige la minaccia dei radicali islamisti – in particolare quelli della Jamaat-e-Islami – che vorrebbero una nazione governata da principi musulmani, il che significherebbe imporre la sharia. Per questo, varie fazioni stanno operando per arrivare ad una governance nazionale di carattere coranico.
Dunque, situazione tutt’altro che “sicura”, non solo per gli stranieri, ma anche per la popolazione locale. Il Bangladesh è un Paese da dove molti fuggono proprio per trovare condizioni di vivibilità migliore e superare la discriminazione sociale e religiosa, oltre che la povertà endemica o lo sfruttamento abietto delle multinazionali.
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