Accudire i conflitti

Restando, con lealtà e mitezza, dentro un conflitto nel quale ci siamo ritrovati senza cercarlo né volerlo, le vocazioni maturano. Sono questi gesti di pietas che rendono le nostre vittorie benedette. Da Città Nuova di Novembre
Foto David Clode/Unsplash

Le comunità carismatiche sono anche luoghi di conflitti. Molta della qualità e della stessa sopravvivenza di queste comunità dipendono anche dalla capacità di accudire e gestire i conflitti.

Le forme del conflitto sono molte. Anche la Bibbia ne conosce diverse. Il conflitto tra Caino e Abele, dove una frustrazione verticale (tra Caino e Dio che rifiutava le sue offerte) diventa violenza orizzontale (verso Abele). Il conflitto tra i fratelli maggiori e Giuseppe, dove l’invidia produce l’eliminazione dell’invidiato. O quello tra Abramo e suo nipote Lot, dovuta all’abbondanza di risorse in uno spazio comune troppo piccolo, che viene risolto per separazione, grazie alla generosità di Abramo che lascia a Lot la scelta della terra (Gen 13,9).

Il conflitto tra Davide e Saul assume ancora un’altra forma. Dio aveva scelto Saul come primo re d’Israele. Poi lo ripudia e sceglie Davide. Tra i due inizia una vera guerra, che vedrà Davide vincitore e Saul diventare depresso e infine suicidarsi. Quello tra Davide e Saul è il paradigma di quel tipico conflitto che si viene a creare tra chi, in genere più giovane, ha ricevuto una autentica chiamata a svolgere un compito e si trova di fronte a ostacolarlo qualcuno che sta già svolgendo lo stesso compito per una chiamata ricevuta in un momento precedente, e che legge l’arrivo del nuovo come una minaccia e un messaggio funesto per la sua vita e vocazione.

Questo tipo di conflitti è particolarmente doloroso per entrambe le parti, perché è uno scontro identitario e necessario, dove ciascuno pensa di essere (perché lo è) legittimamente al suo posto.

Questi conflitti si possono risolvere o prevenire solo con la resa di una delle due parti, che può assumere molte forme – paura o debolezza, o obbedienza a una nuova voce che ci chiama altrove. Nella maggioranza dei casi, noi non riusciamo a risolvere questi conflitti, o li risolviamo troppo tardi e con gravi danni reciproci che finiscono per peggiorarci fino a snaturarci e deformarci il cuore. Il racconto biblico della guerra tra Saul e Davide è dunque importante anche perché ci dona un paradigma di un possibile buon accudimento di questi conflitti, così devastanti e così comuni.

Guardiamolo da vicino. Siamo nel primo libro di Samuele. Saul sta combattendo Davide. Avvertito della
presenza di Davide in zona, Saul prende tremila soldati e parte alla sua caccia. Lungo la strada, Saul entra in una grotta per fare i suoi bisogni, ma in fondo a quella stessa grotta si trovavano, nascosti, Davide con
alcuni compagni (Samuele 1,24). I compagni di Davide lo invitano a cogliere quell’occasione di assoluta vulnerabilità di Saul (solo e di spalle) per eliminarlo. Ma Davide si avvicina a Saul e, invece di colpirlo, «tagliò un lembo del mantello di Saul, senza farsene accorgere» (24,5). E dice ai compagni: «Mi guardi il Signore dal fare simile cosa al mio signore, all’unto di YHWH, dallo stendere la mano su di lui» (24,7).

È molto bello quel lembo di mantello nella mano di Davide, che prende il posto del pugnale. Saul ormai sta per terminare la sua vita, lo sa, e Davide gli dona una fine mite e docile. Davide vede le cattiverie di Saul, ma lo rispetta, lo chiama «padre mio, signore mio». E quando potrebbe ucciderlo, non lo fa.

Preferisce restare nel conflitto rispetto a una soluzione più semplice ma meno vera. Un invito ad imparare ad abitare le contraddizioni, ad accudire i conflitti, a preferire una non-soluzione difficile, ma più vera a una soluzione che appare più semplice solo perché è meno vera.

Accostarci in silenzio a chi ci fa del male, tagliare solo un lembo del suo mantello. Perché è anche restando, con lealtà e mitezza, dentro un conflitto nel quale ci siamo ritrovati senza cercarlo né volerlo, che le vocazioni maturano. Sono questi gesti di pietas che rendono le nostre vittorie benedette, che le rendono qualcosa di diverso da un rapporto di forze.

Davide era stato scelto e consacrato re quando era ancora un ragazzo. Un giorno divenne re, e fu il più grande di tutti. Quella lealtà costosa e generosa, imparata ed esibita nel conflitto con Saul, lo fece diventare il re più amato, oltre le sue molte colpe e grandi peccati. Anche noi dopo grandi errori e infedeltà possiamo sperare di essere perdonati dalla vita, da Dio, dai nostri amici, dall’angelo della morte, se siamo stati capaci di rispettare un nemico, se non abbiamo abusato della sua vulnerabilità e della nostra forza, se lo abbiamo chiamato “padre” o “amico” anche quando non lo meritava più.

Se lo abbiamo fatto almeno una volta.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons