Seminaristi e Focolari, la carezza di Dio per camminare insieme

In vista del Convegno Ecclesiale: “Chiesa volto di speranza”, dal 7 al 10 novembre 2024, conosciamo la storia di alcuni seminaristi che hanno incontrato il carisma dell’unità. Dal sito focolariitalia.it
Seminaristi in dialogo (foto Pexels - Ivan Samkov)

La parola gen’s non indica un genitivo sassone della lingua inglese. Gen sono le prime tre lettere di “generazione nuova”, il movimento giovanile dei Focolari e la “esse” indica i seminaristi. Sono giovani orientati al sacerdozio che seguono il carisma dell’unità, lo trovano attraente, in linea con l’idea di fraternità che emerge dal Vangelo, con il camminare insieme nella comunione che è, tra l’altro, il percorso intrapreso dal Sinodo sulla sinodalità che si conclude domenica 27 ottobre. I gen’s scelgono uno stile di vita, dove non importa tanto il “cosa”, ma il “come” si vive, con una tensione collettiva verso la santità. «Se vuoi cambiare il mondo – diceva Madre Teresa – vai a casa e ama la tua famiglia». Per i gen’s la prima famiglia sono i compagni di seminario, le comunità dove abitano, i fratelli del Focolare. Se si vive l’amore reciproco che conduce all’unità, dopo ha senso anche tutto il resto.

 

Guglielmo Besselva, 37 anni, originario di Giaveno (TO), vicino alla Sacra di San Michele, ha appena concluso il baccalaureato con una tesi su Sant’Agostino e la teologia del desiderio. Di mestiere era pasticcere per passione perché un impiego lo aveva anche precedentemente con la ditta del padre specializzata in asfalti. La vocazione sboccia completamente inaspettata a 26 anni. «È stato un incontro tra un mio desiderio e una carezza di Dio durante un pellegrinaggio a Medjugorje che ha messo in discussione tutta la mia vita e la voglia di non rendere estemporanea la mia ricerca di Dio ma di poterlo incontrare tutti i giorni». La sua ricerca della felicità passa per due anni di esperienza con i monaci di San Paolo primo eremita. Dopo un anno di noviziato in Polonia presso il monastero-santuario di Jasna Góra a Częstochowa, si trasferisce a Roma per studiare all’Angelicum. Abita in parrocchia, vive accanto alla gente e si innamora di questa chiesa tra le case, che si cala nella vita quotidiana della gente. «Una esperienza che mi ha messo in crisi. Mi piaceva condividere la vita ordinaria, le gioie e le difficoltà di ogni giorno con chi mi passava accanto in parrocchia».

A 30 anni entra in seminario a Torino. Da tre anni vive il suo servizio il fine settimana tra Borgaro Torinese e Caselle Torinese, due comuni diversi, due parrocchie, due comunità che con don Alessandro Martini, don Sergio Fedrigo, don Marco Varello lo hanno accompagnato. «Si tratta di una esperienza di fraternità sacerdotale e, allo stesso tempo, di comunione con tutti i parrocchiani. Per me è la prima volta che vivo insieme con dei sacerdoti che seguono il carisma dell’unità. Due cose mi attirano: primo, la grande accoglienza. Quando sono arrivato don Alessandro mi ha aperto le stanze, anche la caldaia e gli angoli più remoti di tutta la parrocchia, facendomi sentire a casa e, secondo, la comunione. C’è una grande apertura, ci si confronta, si decide insieme, tutto è condiviso. Il sacerdote non è solo. Si vive come in una seconda famiglia, ci si vuole bene, a parole e coi fatti. La conseguenza è una ricaduta, senza volerlo, sulla gente che nota il nostro stile di vita che si riflette anche nel modo di vivere dei parrocchiani».

Essendo Guglielmo molto impegnato per completare gli studi, i parrocchiani lo hanno sostituito nei suoi servizi in parrocchia. «Ci tengono proprio, non è un dovere e ogni volta che rientro in parrocchia sono accolto e atteso dalle persone. Mi aspettano e non è solo un ricevere i Sacramenti, ma un vivere nella comunione, un camminare insieme, tanto che è in corso la formazione di un unico consiglio pastorale tra due comunità e due parrocchie molto diverse per mentalità, storia, cultura».

Guglielmo, nel frattempo, dai suoi formatori è stato affidato, per fare la sua esperienza pastorale, alla parrocchia, dove abiterà stabilmente tranne due giorni a settimana. «Ora vedo coronato – conclude – quel desiderio percepito a Roma, ovvero quello di vivere spiritualità e vita ordinaria con i fedeli in parrocchia e il 17 novembre sarò ordinato diacono».

40 anni, laureato in Economia e Commercio a Pescara, dottore commercialista e revisore legale dei conti, dirigente della pubblica amministrazione nel settore finanziario. Non è il profilo di un manager, ma di Antonio Carozza, seminarista non caduto da cavallo come san Paolo, ma ben saldo in sella e con la testa sulle spalle. La sua vocazione è maturata a fuoco lento. Un tarlo lo consuma per anni, una spinta interiore verso una scelta totalitaria di Dio, ma si lascia trascinare dai suoi molti talenti, dal riuscire negli studi, dalla carriera e il lavoro. Originario di Palena, un comune montano ai piedi della Maiella, in Abruzzo, è da sempre impegnato nel volontariato. Si reca in India con il suo parroco, poi in Costa D’Avorio dove presta servizio in un’opera del Don Orione entrando a contatto con i “bambini-serpenti” affetti da poliomelite, così chiamati perché si trascinano a terra. «Camminano solo con delle protesi rudimentali e in loro ho visto lo sguardo del Signore che mi chiamava a seguirlo. Infatti, sentivo “nel mio cuore come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa che mi sforzavo di contenere” – dice il profeta Geremia -, ma non ci sono riuscito, l’amore per il Signore ha prevalso. Non potevo  più dedicargli solo attimi rubati, non potevo viverlo part time. Come l’apostolo Matteo ero come al banco delle imposte, dato il mio mestiere, Gesù è passato e mi ha chiamato». Ora è in seminario a Chieti, è a metà degli studi, al quarto anno, e dopo varie attività nel sociale con la Caritas, in carcere, in ospedale, ora è impegnato con la parrocchia della Visitazione di Maria Vergine a Pescara in una pastorale impegnata nelle periferie esistenziali, con i giovani, con gli scout e altre realtà parrocchiali.

Da tre anni partecipa agli incontri dei Focolari al Centro Mariapoli di Castelgandolfo «dove ho fatto una bella esperienza di fraternità e comunione con altri seminaristi e giovani sacerdoti di un Movimento, quello dei Focolari, che non conoscevo. Mi piace il fatto di porre l’attenzione su Gesù in mezzo, su Gesù Abbandonato. Inoltre  ho apprezzato il camminare insieme proprio del Sinodo in corso, e l’Economia di Comunione dove non si cerca il profitto, ma la reciprocità delle relazioni, la bellezza del dono di sè».

L’ultima esperienza è stato il Genfest del Brasile dove Antonio è entrato in contatto con l’umanità ferita dalle dipendenze nella Fazenda da Esperança «dove ho incontrato tanti giovani che sono passati dal fallimento alla rinascita» e tanti altri che «hanno la voglia di cambiare il mondo come me».

Vittorio Lanzilotta, 21 anni, è della stessa diocesi di Sulmona-Valva e nello stesso seminario di Chieti di Antonio Carozza. La sua storia riflette le vulnerabilità di una famiglia di oggi. Quando aveva tre anni la mamma si ammala di una malattia psichiatrica e lui cresce con la nonna e il papà che successivamente ha un’altra figlia da una nuova compagna. Vittorio è dato in affido ad un’altra famiglia. In questo contesto così travagliato gli sono di luce delle belle figure di sacerdoti. Nel frattempo, si era trasferito dalla Puglia, è nato a Putignano (BA), a Popoli Terme. Decisivi per lui sono gli incontri, dapprima a Mottola (TA), poi a Pescara, con dei sacerdoti che vede felici di vivere e di stare con la gente. I loro esempi di vita lo fanno riflettere e lo spingono a conoscere meglio la figura di Gesù. Chiede di entrare nel seminario minore. Dopo vari colloqui, anche con il vescovo Michele Fusco, e dopo un anno, a 17 anni si trasferisce, con il consenso della famiglia affidataria, nel seminario minore di Roma. Prosegue i suoi studi a Chieti e «sono molto contento – commenta Vittorio – perché potevo finire nell’alcool, nella droga e, invece, il mio desiderio di felicità, l’ho trovato nel Signore».

L’estate scorsa Vittorio partecipa al Genfest in Brasile, a tutte le sue tappe. «Ho incontrato persone di tutto il mondo per vivere l’esperienza dell’unità e ho constatato come ci sono tanti giovani che seguono Gesù e altri, non credenti, che hanno il desiderio di camminare insieme e di voler portare il loro contributo per un mondo più bello, giusto, inclusivo».

Nel seminario di Palermo vive Giuseppe Notte, 33 anni. Un ragazzo con “l’intelligenza nelle mani” – direbbe don Bosco. Perito tecnico industriale, elettricista, idraulico, operaio edile. Sa far tutto e bene. Non è tipo da parrocchia e non frequenta la Chiesa finché un giorno, nel 2016, lo invitano ad un momento di preghiera. Comincia così il suo cambiamento, con un moto interno, con l’affidarsi ad una guida spirituale, con il cominciare un percorso di discernimento con un incontro al mese che lo condurrà dopo un paio d’anni, seguendo una spinta interiore, a frequentare un anno propedeutico e poi il seminario.

Nella seconda metà di luglio scorso, decide di andare a Loppiano, la cittadella dei Focolari, insieme ad un gruppo di tredici seminaristi italiani ed europei, più un brasiliano, per una esperienza di comunione e di fraternità. «Loppiano per me – commenta – è stata un’esperienza inedita che non conoscevo. Tutto era nuovo e mi è piaciuto sia conoscere la storia dei Focolari, la spiritualità con il punto centrale Gesù Abbandonato, l’Istituto Universitario Sophia, i vari centri della cittadella, sia l’esperienza di vita comunitaria. Ho constatato come la spiritualità si mette in pratica, non per un fine, ma per uno stile di vita che fa di tante membra un sol corpo».

da https://www.focolaritalia.it/2024/10/22/seminaristi-e-focolari-la-carezza-di-dio-per-camminare-insieme/

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