Israele tenta di bloccare l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi

Il Parlamento israeliano accusa l’Agenzia Onu Unrwa di essere collusa con Hamas. Con le norme approvate dalla Knesset, Israele tenta di bloccare “legalmente” la consegna di aiuti umanitari (compresi cibo, acqua, medicine e carburante), a quasi 2 milioni di palestinesi della Striscia di Gaza  
Unrwa EPA/HAITHAM IMAD

Il voto del Parlamento israeliano (Knesset, 120 membri) del 28 ottobre scorso è passato quasi inosservato, come al solito. Cosa ha votato in pratica la Knesset? Ha pprovato a grandissima maggioranza (92 voti a favore e 10 contrari) una legge che proibisce in Israele le attività dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi.

In un’altra votazione dall’esito analogo (89 favorevoli e 7 contrari), la legge approvata proibisce al personale statale israeliano (militari compresi) di fornire ai funzionari Unrwa permessi di accesso a Gaza e in Cisgiordania. Il pretesto è l’accusa contro l’Agenzia Onu di essere collusa con Hamas. E questo perché, secondo l’accusa, 12 (dodici) dipendenti dell’Unrwa sarebbero infiltrati di Hamas, e qualcuno di loro avrebbe addirittura partecipato all’attacco e al massacro del 7 ottobre 2023, quello che ha poi scatenato la vendetta israeliana e la guerra tuttora in corso.

A questo riguardo è importante precisare tre dati: il primo è che l’Unrwa ha circa 31 mila dipendenti nell’area mediorientale (Libano, Giordania, Siria, Gaza e Territori palestinesi occupati da Israele) per l’aiuto a circa 6 milioni di profughi palestinesi. Sono circa 13 mila i dipendenti Unrwa reclutati fra i civili palestinesi della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, e 9 (nove) di questi 13 mila secondo due indagini indipendenti dell’Unrwa sarebbero forse vicini ad Hamas e “potrebbero essere stati coinvolti” in qualche modo negli attacchi del 7 ottobre. I nove sospettati sono stati licenziati. Nonostante ciò, le due normative votate dalla Knesset saranno comunque operative novanta giorni dopo la loro approvazione, quindi pressappoco alla fine di gennaio 2025.

Il secondo dato rilevante riguarda le conseguenze sui civili palestinesi. Times of Israel sottolinea che «senza il coordinamento con Israele sarà quasi impossibile per l’Unrwa lavorare a Gaza o in Cisgiordania». E la sopravvivenza di quasi due milioni di abitanti della Striscia dipende dal sostegno umanitario dell’agenzia Onu, paraltro già molto ostacolata da mesi. Senza contare le innumerevoli strutture Unrwa (ospedali, scuole, ecc.) bombardate e distrutte, con più di 200 dipendenti uccisi. Secondo gli ultimi dati Unrwa, già ora nella Striscia 1, 8 milioni di palestinesi soffrono livelli acuti di fame, mentre 133 mila ne soffrono a livelli catastrofici.

In Cisgiordania vivono altri 3 milioni circa di palestinesi, oltre a 650-700 mila coloni israeliani in più di 200 insediamenti, illegali secondo il diritto internazionale ma favoriti e sostenuti dal Likud, il partito di Netanyahu, e dai suoi alleati di estrema destra e ultraortodossi. Bloccare l’Unrwa, qui, è mettere in ancora maggiore difficoltà gli abitanti palestinesi, già pesantemente tartassati e perseguiti, favorendo evidentemente i coloni.

Il terzo dato, a margine ma non senza conseguenze: dopo le accuse israeliane, numerosi Paesi che finanziavano l’Unrwa hanno sospeso i loro contributi all’Agenzia Onu.  A fine gennaio 2024 molti Paesi, compresa l’Italia, hanno sospeso i finanziamenti all’Unrwa, bloccando circa metà del budget previsto.

Soltanto Spagna, Norvegia, Belgio e Irlanda si sono rifiutati di sospendere i finanziamenti che avevano preventivato. Solo alla fine di aprile scorso, la Germania ha deciso di ripristinare la cooperazione e i finanziamenti all’Unrwa, dopo che un’analisi indipendente aveva stabilito che Israele non aveva fornito prove convincenti a sostegno delle sue affermazioni.

Dopo la Germania, molti hanno via via ripreso a sostenere l’Agenzia Onu. Per il 2024 sono stati alla fine recuperati fondi per un totale di 3,4 milioni di euro. Non molto. A Gaza e in Cisgiordania, però, sarà pressoché impossibile tradurre questi ed altri fondi in aiuti umanitari a causa del blocco israeliano sancito dalla Knesset il 28 ottobre, che sarà operativo da febbraio prossimo.

Ma la realtà sul terreno è anche più inquietante: il governo israeliano starebbe recuperando e attuando un piano soprannominato “surrender or starve” (arrendersi o morire di fame), detto anche Piano Eiland.

Il generale in pensione Giora Eiland aveva affermato fin da gennaio scorso: «L’unico modo per vincere la guerra è tagliare cibo e acqua a Gaza». L’attuale ripresa del Piano Eiland punterebbe anche ad eliminare completamente la presenza di palestinesi dal nord della Striscia, che diventerebbe così una zona militare completamente chiusa. E disponibile all’insediamento di coloni ebrei, probabilmente.

Si possono in questa prospettiva comprendere meglio le recenti (22 ottobre 2024) affermazioni del ministro Ben-Gvir in riferimento ai palestinesi di Gaza – come risulta dal video di un suo discorso pubblicato da Al Jazeera: «Il 7 ottobre ha cambiato la storia. Come risultato del brutale massacro, gli arabi a Gaza hanno perso il diritto di essere qui». E in un altro passaggio, con toni solo apparentemente concilianti: «Possiamo incoraggiare la migrazione… La verità è che questa è la soluzione morale migliore e la più corretta, non forzarli ma dire loro: vi stiamo dando una possibilità, andatevene via in altri Paesi… La terra di Israele appartiene a noi».

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