L’imperialismo del denaro
Chissà cosa avrà pensato Vladimir Putin quando, nel luglio del 2001, si recò a Genova per partecipare al G8. Il club esclusivo dei “grandi della Terra” si riunì in quella città, già sede di una bellicosa repubblica marinara, per decidere le sorti future del mondo, ma si trovò circondato da manifestanti decisi a contestate l’indirizzo neoliberista prevalente tra le classi dirigenti in quel passaggio di millennio. I movimenti cosiddetti “no global”, repressi con una violenza inusitata per uno stato democratico, esprimevano l’esigenza di “un altro mondo possibile”, alternativo all’unica ideologia capitalista rimasta in piedi dopo la fine dell’esperimento sovietico.
L’allora giovane presidente russo proveniva dai vertici dell’ex Kgb, aveva vissuto in prima persona il crollo del socialismo reale, giungendo, pochi anni prima, a fronteggiare altri manifestanti per difendere, armi in pugno, il perimetro dell’ambascia di Mosca nella Ddr. La parte Est della Germania, cioè, destinata a riunificarsi, poi, con quella occidentale, fino a diventare il perno della nuova Europa liberale e atlantista. La folla esultante davanti al Muro di Berlino che nel 1989 cadeva a pezzi senza bisogno di rivolte armate si illuse di andare incontro ad un futuro migliore. Le guerre nel Golfo degli anni 90, il lungo tragico conflitto nell’ex Jugoslavia, dal 1992 al 1999, con il ritorno del genocidio nel vecchio continente e i bombardamenti occidentali su Belgrado resero evidente che l’avvento di un’era di pace restava lontana.
È in tale contesto che deve leggersi l’appello lanciato in occasione del Giubileo del 2000 di annullare il debito dei Paesi più poveri. Non per compassione ma come risarcimento di un torto subito. La Chiesa cattolica che, per sua natura, abbraccia il mondo intero, ha custodito verità antiche che suonano tuttora scandalose per i benpensanti, come ad esempio “la destinazione universale dei beni” per l’umanità intera, contradetta da sistemi di accaparramento ed esclusione. L’annuncio giubilare di “fare riposare la Terra” rimanda alla riedificazione di un ordine infranto di giustizia.
Le parole più dure contro la ricchezza dei pochi che getta nella miseria la moltitudine degli esseri viventi, sono quelle dei padri dei primi secoli dell’era cristiana, ma non può non colpire, per la sua attualità, la denuncia «dell’internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro» contenuta nell’enciclica Quadragesimo anno di Pio XI datata 1931. «Alla libertà del mercato – affermava il papa- è subentrata l’egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; e tutta l’economia è così divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele».
«Questa economia uccide» è il grido lanciato da Francesco nel 2013 con l’esortazione Evangelii Gaudium. Un concetto molto chiaro se si pensa ai debiti contratti ingiustamente e in maniera fraudolenta dai Paesi del Sud del mondo che, per pagare interessi usurai, non hanno denaro sufficiente per il cibo, le cure mediche e per combattere il riscaldamento climatico provocato dallo sfruttamento delle risorse comuni da parte dei Paesi benestanti.
L’imposizione di debiti insostenibili conduce inevitabilmente alla guerra come aveva ammonito l’economista John Maynard Keynes davanti alle odiose condizioni imposte nel 1919 alla Germania sconfitta nel primo conflitto mondiale.
È fin troppo facile intuire, oggi, gli effetti nefasti di uno scenario mondiale in cui secondo l’Onu, «3,3 miliardi di persone vivono in Paesi che spendono più nel pagamento degli interessi sul debito che in salute o istruzione».
I promotori, nel 2000, della campagna per la cancellazione del debito facevano notare che «i governi dei Paesi occidentali e le istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno già oggi a disposizione sufficienti risorse per pagare la cancellazione di debiti» e che questi in realtà sono già stati ripagati da interessi spropositati a tassi usurai.
Se ad inizio millennio si faceva notare che «il debito dei 20 Paesi più poveri del mondo potrebbe essere cancellato con il costo di un moderno cacciabombardiere», oggi un numero enorme di scienziati chiede di tagliare il 2% delle spese in armi da destinare a risolvere le ingiustizie planetarie. Ma evidentemente esistono quelle “strutture di peccato”, come la chiama il pensiero sociale cristiano, che impediscono soluzioni che appaiono ragionevoli oltre che giuste.
La questione dei debito si è ulteriormente complicata in questi 25 anni perché sono cambiati i decisori reali, che non sono più solo gli Stati, compresa l’astro cinese, la Banca mondiale o il Fmi ma il sistema della finanza internazionale, cioè stratosferici capitali privati che operano di concerto tra loro fino a «controllare le agenzie di rating, che decidono le sorti dei debiti pubblici degli Stati» come fa notare l’economista Alessandro Volpi nel recente testo “I padroni del mondo” dove mette in evidenza la loro presenza dominante in ogni settore strategico, a cominciare da quello militare.
L’invito alla cancellazione del debito contenuta nell’annuncio del Giubileo 2025 è quindi sempre più urgente, ma richiede ampio spazio di confronto tra analisi e proposte diverse davanti al nuovo volto dell’“imperialismo del denaro” mutato profondamente dai tempi di quel G8 del 2001 al quale seguì, dopo 2 mesi, il crollo delle Torri gemelle a New York. E poi una serie di guerre fino alla carneficina in corso in Terra Santa, la crisi finanziaria del 2007/2008, la pandemia da Covid, l’emergenza climatica.
La bolla giubilare, Spes non confudit, annuncia la Speranza in un mondo che sembra averla smarrita. “Non saremo confusi in eterno” recita il canto del Te Deum che accompagna l’apertura della “Porta santa”. Potenza di un simbolo che affonda alla radice dell’esistenza per cambiare la realtà.