Harding vince la scommessa con una Tosca indimenticabile

Nell’anno pucciniano a Roma l’Accademia Santa Cecilia inaugura la stagione con l’opera “romana” e con il nuovo direttore, Daniele Harding, successore di Antonio Pappano.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il maestro Daniel Harding in occasione della rappresentazione dell’opera “Tosca” di Giacomo Puccini, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Roma, 26 ottobre 2024. ANSA/UFFICIO STAMPA QUIRINALE/PAOLO GIANDOTTI

Scommessa vinta. Sì, perché presentare il lavoro popolarissimo in versione da concerto, senza scene, costumi e regie più o meno fantasiose come si usa, era un rischio. Ma l’orchestra ceciliana, al suo massimo grado di compattezza e di bellezza sonora, ha restituito in pieno il carisma sinfonico della partitura della Tosca di Puccini le cui bellezze anche sperimentali sono tutte da riscoprire ancora. Merito pure della direzione appassionata e matura di Daniele Harding che esplorava per la prima volta il lavoro e se n’è di fatto innamorato. Solo in questa prospettiva si può comprendere e apprezzare la coesione orchestrale, la bellezza delle singole sezioni – meravigliosi gli ottoni di potenza “americana”,  la leggerezza dei violini e il velluto degli archi gravi, il brillio degli strumentini …..

Tosca è opera aggressiva e sensuale, non riposante, con tocchi melliflui, delicati e poetici – l’alba su Roma, la nenia del pastorello – e momenti di musica ”marcia”, cattiva e subdola come nella gran scena fra Tosca e il demoniaco Scarpia.

Che queste bellezze siano state evidenziate dal gesto chiarissimo del direttore è una prova di notevole capacità non solo professionale – Harding, 50 anni, dirige da quando ne aveva venti -,  ma di ispirazione. Un lavoro si direbbe in technicolor tra horror e romanticismo dove la sapienza orchestrale pucciniana appare vivissima, ma anche sempre in funzione del canto, ardito, rapido, memorizzabile.

E a questo proposito giova notare la prova riuscita del cast. Da molto non si ascoltava un Cavaradossi  come il tenore cileno-americano Jonathan Teleman, dallo squillo potente e fermo, dai colori anche morbidi, saggezza tecnica, pathos giusto. Eleonora Buratto, soprano, al debutto nel ruolo, ne ha dato una ottima prova insieme allo Scarpia del baritono Ludovic Tézier che ha accentuato la mostruosa felinità del personaggio.

Tutto il cast insieme ai cori è apparso al meglio dando vita nuova ad un’opera di repertorio che rischia l’usura, cosa che qui non c’è stata, anzi, e non si è avvertita la mancanza del palcoscenico: bastava chiudere gli occhi e la musica diceva già tutto. Dipende da come si esegue e da come si guarda la musica. Registrata dalla Deutsche Grammophon.

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