Parthenope, cioè Napoli
Parthenope è una donna nata dal mare, come Venere (Celeste Dalla Porta, vitalissima), di una bellezza sfolgorante che fa sorgere desideri di possesso ma sa rifiutare e darsi al momento opportuno con l’arte della seduzione, che per Sorrentino appare una delle magie della sua città. Il film racconta la storia, dagli anni Cinquanta, di questa donna sino alla vecchiaia. Una vita vissuta tra amicizie, amori, studi, luoghi degradati come i vicoli delle tele di un Ribera e di un Caravaggio, fra scene di miseria e di nobiltà, ricchi scrittori americani delusi e personaggi oscuri, caporioni di quartiere e insegnanti tormentati.
Brilla una malinconia in questo lavoro barocco, un estetismo fin troppo amato e pure espresso da una fotografia meravigliosa di volti, ambienti e corpi, soprattutto di lei giovane, mollemente sensuale. Il film gronda vitalità talora sfrenata, talora socchiusa e drammatica, insieme ad un sentimento di noia e di frustrazione che è come il sottofondo dell’animo del regista. Lui fa della città una sorta di biografia, non solo del suo sogno, ma di un modo di essere al mondo tra bellezza e bruttezza, amore e disincanto, fantasia e dissacrazione.
Tra una scena e l’altra i dialoghi svelano i pensieri di Sorrentino, lucidamente amari, mentre il racconto si affolla di figure e di figurine: l’attrice napoletana decaduta e irritata (Luisa Ranieri, perfetta), il professore disilluso e pietoso che mostra a Parthenope il suo figlio – mostro dolcissimo, una scena commovente di un grande Silvio Orlando –, il fratello fragile che cerca la morte, il cardinale custode del miracolo di san Gennaro di una grottesca amoralità (Peppe Lanzetta), il fidanzato preso e lasciato, il narciso anziano americano (Gary Oldman) e i genitori di lei, Parthenope, morti dentro l’anima dopo la fine del fratello. Infine anche lei, la bellissima, invecchiata, malinconica, sola, innamorata della sua città (Stefania Sandrelli).
Il film leopardianamente ascolta e vede il tempo fuggire e la giovinezza morire troppo presto. La vita è allora illusione e male? Chissà, però alla fine una voce fuori campo afferma che «Dio non ama il male». Frase misteriosamente ambigua come lo è il lavoro estetizzante al grado massimo di Sorrentino, che ha ricreato il suo mondo visionario e reale, sensuale e doloroso sempre più nella scansione del tempo che va.