Dopo 8 anni si sblocca la questione marò
Ritorna di attualità la questione, ormai quasi dimenticata, dei due marò italiani che nel febbraio del 2012 furono arrestati dalle autorità indiane, nello stato del Kerala, con l’accusa di avere ucciso due pescatori locali scambiati per pirati. Come molti ricorderanno, la questione aveva occupato i nostri giornali e notiziari televisivi e aveva portato i rapporti fra le due diplomazie – italiana e indiana – ai ferri corti. L’India insisteva perché il processo ai due accusati avvenisse sul suo territorio e, prima di arrivare a una decisione, si susseguirono rinvii durati anni, durante i quali i due militari italiani avevano, poi, ottenuto l’obbligo di residenza all’interno dell’Ambasciata italiana di Delhi.
Alla fine, l’Italia si è rivolta al Tribunale internazionale dell’Aja che, dopo 5 anni, ha preso la sua decisione alla quale ora i due Paesi devono sottostare. In base ad essa, il processo è assegnato all’Italia, ma il nostro Paese è chiamato a pagare i danni alle famiglie dei due pescatori uccisi e al capitano del peschereccio colpito per errore al largo dello Stato del Kerala nel Sud Ovest del Mar Arabico. Il giudizio della Corte Internazionale ha così riconosciuto “l’immunità funzionale” dei fucilieri della Marina Italiana, certificando che i due militari erano funzionari dello Stato italiano, impegnati nell’esercizio delle loro funzioni. Allo stesso tempo, la sentenza afferma che «l’Italia ha violato la libertà di navigazione e dovrà pertanto compensare l’India per la perdita di vite umane, i danni fisici, il danno materiale all’imbarcazione e il danno morale sofferto dal comandante e altri membri dell’equipaggio del peschereccio indiano Saint Anthony». Saranno le due parti che dovranno accordarsi in merito e il nostro Ministero degli Esteri ha chiarito che «Italia è pronta ad adempiere a quanto stabilito dal Tribunale arbitrale, con spirito di collaborazione». Tutto questo significa l’ammissione dell’incidente e la disponibilità al risarcimento. Ovviamente, la decisione dell’Aja è stata preceduta da un’intensa attività diplomatica per permettere un accordo di massima, prima che il giudizio finale fosse emesso. Da tempo, ormai, Latorre e Girone, i due fucilieri, si trovano in Italia dove sono rientrati, il primo anche per motivi di salute, rispettivamente nel 2014 e nel 2016. La questione, tuttavia, è sempre rimasta in sospeso e, ora, dopo quasi un decennio sembra chiarirsi l’iter che dovrà seguire. Infatti, sarà cura del nostro Paese riavviare il procedimento penale che era stato aperto presso la Procura della Repubblica di Roma.
La sentenza sembra aver soddisfatto entrambe le parti, anche grazie, come accennato, ad evidenti accordi previ, che hanno permesso una soluzione che tiene conto della realtà dei fatti, delle rispettive giurisdizioni territoriali, delle varie competenze e, non ultima, della “faccia” o, se si vuole, dell’immagine internazionale dei due Paesi. A questo, l’India, in particolare, ha mostrato di tenere molto e non sempre nel corso degli anni, soprattutto nelle estenuanti trattative iniziali, la nostra diplomazia ha mostrato un’adeguata sensibilità. La reazione dei media e dell’opinione pubblica in Italia era, infatti, stata troppo irruente a fronte di una situazione tutt’altro che semplice nel complesso mondo politico indiano.
Nei vari equilibri non aveva assolutamente giovato la presenza di Sonia Gandhi, italiana e naturalizzata indiana, moglie di Rajiv Gandhi e nuora di Indira, che da anni guidava il Partito del Congresso. Il Kerala, inoltre, all’epoca dei fatti, era alla vigilia delle elezioni locali e il caso era stato ovviamente strumentalizzato nella campagna elettorale. Una politica diplomatica più attenta e, soprattutto, silenziosa avrebbe aiutato non poco a una soluzione in tempi molto più brevi. Dopo una partenza adeguata, invece, la diplomazia italiana si era dimostrata in difficoltà con i meandri della complessità socio-politica e diplomatica indiana e aveva spinto sull’acceleratore di una pressione dell’Unione europea sul governo di Delhi. I risultati li abbiamo visti. In effetti, i giornali indiani hanno reagito in modo positivo alla decisione dell’Aja, affermando che, se da un lato, hanno dovuto rinunciare alla giurisdizione del processo, dall’altro, hanno ottenuto la soddisfazione del risarcimento pecuniario da parte italiana. Infatti, la sentenza è assolutamente chiara in merito. «L’Italia ha violato la libertà di navigazione sancita dagli articoli 87 e 90 della Convenzione delle Onu sul Diritto del Mare, e dovrà compensare l’India per la perdita di vite umane, i danni fisici, il danno materiale all’imbarcazione e il danno morale sofferto dal comandante e altri membri dell’equipaggio del peschereccio indiano “Saint Anthony”».
Il nostro Paese è, quindi, riconosciuto colpevole per l’incidente e questo salva l’immagine dell’India a livello internazionale. Come sappiamo, il panorama politico indiano è notevolmente cambiato dal 2012 e questa sentenza è, senza dubbio, un buon risultato che la gestione Modi porta a casa, dopo l’opera di mediazione realizzata dall’allora ministro degli Esteri indiano, Sushma Swaraj, recentemente scomparsa, che aveva approfittato della canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta per riallacciare buoni rapporti con la nostra diplomazia.