La grande ambizione di Berlinguer spiegata da Germano e Segre

Alla Festa del cinema di Roma Elio Germano e Andrea Segre hanno parlato del perché del film Berlinguer – La grande ambizione
Andrea Segre ed Elio Germano alla Festa del cinema di Roma. Foto ANSA/ETTORE FERRARI

È stato presentato giovedì alla Festa del cinema di Roma il bel film di Andrea Segre Berlinguer – La grande ambizione, con Elio Germano nei panni dello storico segretario del Pci. La pellicola arriverà nei cinema il prossimo 31 ottobre, ma l’attore romano, insieme al regista e al resto del cast, ha incontrato la stampa dopo la proiezione. Ad aprire il dibattito, è stato Segre, che ha raccontato la genesi del film: “Ce l’avevo in testa, nascosto da qualche parte, ma mi è venuto veramente in mente sul set di Welcome Venice. Ho letto un libro di Piero Ruzzante, sugli ultimi giorni di Berlinguer. Lo stesso libro l’aveva regalato anche a Marco Pettenello (lo sceneggiatore del film). Lì ho capito che effettivamente era un’idea che avevo in testa e ne ho parlato con Marco. Ci siamo detti: “proviamoci”. Abbiamo riflettuto su quanto fosse incredibile che il cinema italiano non aveva mai raccontato non solo Berlinguer, ma quel popolo, quel pezzo d’Italia, quel terzo di italiani che hanno vissuto dentro e intorno all’esperienza del partito comunista italiano: elemento molto importante nella storia della società italiana”.

Poi lo studio, spiega Segre, è andato avanti. “Abbiamo iniziato a riflettere su quale fosse il momento chiave della storia di Berlinguer e di quel popolo. Non volevamo fare un biopic generale sulla sua vita. Ci è sembrato che gli anni dal ‘73 al ‘78, in particolare quelli centrali, ‘75 e ‘76, fossero i più importanti di quell’esperienza, anche per il ruolo che l’Italia ha avuto in quegli anni di tensione, di elemento particolare dentro al mondo diviso in due, con il più grande partito comunista occidentale che di per sé costituì un problema per l’Occidente e per il mondo comunista. Abbiamo iniziato a riflettere su quello che sarebbe stato un lavoro molto lungo”.

Poi l’incontro con Elio Germano. “Sono andato a trovarlo e gli ho detto che avevo questa idea. Prima di dirlo a chiunque altro”.

Elio Germano ha invece raccontato la costruzione del personaggio. “Da subito, ci siamo detti, con Andrea, di non caratterizzare troppo i personaggi esteriormente, ma di restituire qualche dettaglio, affinché ci ricordassero quelli veri. L’approccio è stato approfondire le questioni di cui erano portatori tutti gli intellettuali che sedevano ai tavoli della direzione, di cui Berlinguer era il segretario. Abbiamo avuto una profonda attenzione, quindi, alla ricostruzione non esteriore, ma basata su un atteggiamento di profondo rispetto e su una indagine quasi da storici, che significa non forzare le cose da una parte o dall’altra”.

Germano ha anche parlato di come ha interpretato Berlinguer. “Io credo molto nel linguaggio dei nostri corpi, quello involontario. La comunicazione inconsapevole dei nostri corpi. Il corpo di Berlinguer, la sua prossemica involontaria, raccontava un senso di inadeguatezza, di fatica, del peso della responsabilità. Una mancanza di attenzione verso l’esteriorità, con quei capelli che andavano da tutte le parti. Nella misura in cui il suo corpo raccontava qualcosa, ovviamente è stato fonte di ispirazione, non essendo il nostro obiettivo quello di fare imitazioni esteriori. Quel corpo di Berlinguer mi sembrava che raccontasse molto”.

A una domanda sul modo di affrontare le questioni tra i politici di oggi e quelli di allora, l’attore ha risposto: “Sposterei la questione. Penso che si tratti di una deriva della società, non solo della politica, di noi come esseri umani, che abbiamo una concezione molto più individuale che collettiva. Siamo in competizione l’uno contro l’altro. Questo si esprime nei nostri posti di lavoro, qualunque siano. Si pensa più al profitto, alla carriera personale.

A Germano è stato inoltre chiesto cosa ha scoperto, di Berlinguer, costruendo il personaggio. “Tantissime cose. Oggi – ha risposto – si fa un gran parlare di leader: manca un leader come lui. Quale sarà il prossimo leader? Non abbiamo un leader. Ma siamo sicuri che la risposta sia nel leader? Perché innanzitutto Berlinguer era un segretario. Questa è una differenza semantica molto importante, perché prevede un discorso fatto all’opposto, quindi di ascolto. Chiunque ci parlava di lui, ci raccontava il suo inquietante silenzio. Berlinguer faceva parlare molto gli altri, ascoltava tanto e desumeva. C’era una ricchezza di punti di vista che venivano tutti ascoltati e rispettati. Ecco la fatica, appunto, che si vede anche dal suo corpo. Quasi cristica del mettersi a disposizione, del portare il peso di chi tira le fila, nel dubbio di fare o meno la cosa giusta. Il senso di responsabilità rispetto alle persone di cui era rappresentante. Ecco un altro termine dimenticato dalla politica dimenticata: i rappresentanti del popolo.

Alla domanda se, nel sottotitolo alternativo del film, la parola “ambizione” poteva essere sostituita da “illusione”, per il compromesso storico mancato, e quindi di un’idea mancata d’Italia, il regista Segre ha risposto: “La grande illusione è una possibile interpretazione dell’ambizione. Un pezzo dell’ambizione può essere l’illusione: sperare di arrivare all’impossibile può spingere un’ambizione. Anche quando ti dicono che è impossibile, ma ci provi lo stesso, vuol dire che hai dentro una spinta comune, che costruisce un progetto che a sua volta produce influenze. La cosa che abbiamo capito, studiando, è che quella stagione ha prodotto dei risultati molto importanti nella storia d’Italia, al di là del successo o meno del progetto di Berlinguer. L’incontro tra il partito Comunista e la Democrazia cristiana, in diversi ambiti, ha prodotto il risultato di riforme molto importanti, per esempio, la sanità pubblica”.

In ogni caso, ha aggiunto il regista, “a noi interessava raccontare la parola “grande” che rimane in entrambi i sottotitoli. Quel grande che, gramscianamente, significa non solo mio ma di tutti, non soltanto una cosa a cui voglio arrivare io, ma a cui vogliamo arrivare collettivamente insieme. Questa dimensione dell’agire sociale o politico si è un po’ persa: quel sentire una condivisione”.

Sul rapporto del film con il presente, Elio Germano ha invece spiegato che “il film non ha mai pensato alla situazione politica odierna, non ci siamo mai interrogati sui riferimenti con la politica contemporanea, ma penso che la questione della grande ambizione sia molto viva e contemporanea perché permette una migliore qualità della vita di tutti. Ripeto, è una cosa che riguarda i mestieri di tutti, le nostre piccole ambizioni personali nel fare carriera, sgomitare e vincere rispetto agli altri. L’alternativa è quella della comunità utilizzata come elemento arricchente. È quella di mettersi a disposizione della collettività, di avere un’ambizione grande. Per esempio che il film che abbiamo fatto, oltre ad arricchirmi personalmente, possa portare elementi di discussione, di critica. Questa differenza si può sentire nella vita di tutti noi. Quindi non penso sia un’illusione, perché la ricerca di una modalità diversa, di un mondo migliore, non è solo scritta nella Costituzione (svolgere il proprio mestiere come “contributo materiale e spirituale alla nazione”) ma ti fa stare meglio, ti rende felice. Quindi, visto che ormai siamo una serie di monadi individualiste e pensiamo solo al nostro egoismo e piacere personale, disveliamo questa menzogna per cui la felicità è prodotta dalla competizione, dall’accumulo, dalla gara e dal vincere. Si sta meglio quando si condivide. Chi agisce per una grande ambizione, forse ottiene uno stipendio minore, ma sta meglio, è più felice.

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