Tunisia, Saied presidente senza furor di popolo

Il presidente della repubblica tunisina Kais Saied, alla fine del suo primo mandato quinquennale, il 6 ottobre scorso è stato rieletto ottenendo, secondo i dati elettorali ufficiali, il 90,69% dei voti validi. Una maggioranza bulgara, si diceva una volta, cioè un consenso talmente vasto da risultare decisamente sospetto. A conti fatti, si tratta di un’elezione senza alcun furor di popolo. Come si arriva allora a quell’improbabile 90,69%?
Il presidente della Tunisia Kais Saied. Ansa EPA/MOHAMED MESSARA

Interpretare i numeri della politica non è mai facile. Ma nel caso delle elezioni tunisine non siamo di fronte al caso del presidente venezuelano Maduro, che per vincere ha dovuto sequestrare i registri elettorali, che l’avrebbero con tutta probabilità smentito. No, Saied è stato molto più trasparente: il 90,69% rappresenta veramente la percentuale dei voti dichiarati validi. Cioè ha ottenuto 2.438.954 preferenze. Poi ci sono gli altri voti validi che sono andati agli altri 2 concorrenti ammessi. E qui iniziano le perplessità. Concorrenti ammessi si fa per dire: il primo, Ayachi Zammel (del gruppo Azimoun-Tahya Tounes, di orientamento liberale) che ha raccolto il 7,35%, è in carcere dal 3 settembre ed è stato condannato giusto 5 giorni prima delle elezioni, in 4 processi, a 13 anni di carcere per frode (falsificazione dei suoi moduli elettorali); il secondo, Zouhair Maghzaoui (di un fantomatico Movimento Popolare) ha ricevuto l’1,96%, ma sarebbe stato ammesso per evitare che ci fossero due soli concorrenti, essendo in realtà per sua stessa ammissione un sostenitore di Saied. Tutti gli altri aspiranti concorrenti erano stati in precedenza non ammessi, respinti e dichirati non idonei, alcuni di loro sono già in carcere, altri in esilio. Questo anche grazie ad una democraticamente improponibile legge elettorale: ad esempio, è richiesto per candidarsi di «essere tunisino senza altra nazionalità, nato da padre e madre tunisini e con nonni paterni e materni tunisini», o di essere musulmano; oppure di «non essere soggetto a uno dei seguenti divieti: perdita della qualità di elettore e perdita del diritto di candidarsi derivante da una condanna» per reati contro alcuni articoli della Legge elettorale (riformata da Saied) e uno del Codice penale.

Tra i voti non validi ci sono poi le circa 120 mila schede bianche (1,22%) o nulle (3,02%). E ci sono soprattutto i non voti, cioè i 7 milioni di elettori che non si sono recati alle urne: precisamente 6.944.669. Tra loro, un dato particolarmente significativo è rappresentato dalla diserzione dei giovani: solo il 6% dei 18-35enni si è recata alle urne, pur costituendo circa un terzo dell’elettorato. In sintesi: dei 12,3 milioni di tunisini, escludendo i minori e chi non è abilitato al voto, ha votato per Saied, praticamente senza alternative, il 25% degli aventi diritto. Che rappresenta in fin dei conti lo zoccolo duro dei sostenitori del presidente. Soprattutto, però, non ha votato per Saied il 75% degli elettori tunisini, percentuale che è molto difficile configurare come astensionismo per disinteresse. Sorge il fondato sospetto che si tratti di una scelta voluta per manifestare dissenso, e adesione alle indicazioni di astensione dal voto promossa dall’opposizione, da tempo dichiarata illegale.

Il politologo tunisino Hamza Meddeb, interpellato da AlJazeera, ha affermato che il presidente Saied è stato comunque «capace di mobilitare la sua base. È sostenuto dai servizi di sicurezza, da buona parte dello Stato così come dalle centinaia di migliaia di persone che fanno affidamento su di lui per la loro sopravvivenza finanziaria». In un paese come la Tunisia, dove il default dello Stato (in stile libanese) è sempre più in vista (come evidenzia un recente e attento studio del Malcolm H. Kerr Carnegie Middle East Center), sopravvivere non è solo un’arte, ma spesso una necessità che non lascia spazio a troppe considerazioni astratte.

Pur essendo stato eletto abbastanza democraticamente nel 2019, Saied negli ultimi tre anni è riuscito a licenziare il Primo Ministro, bloccare il Parlamento, limitare fortemente l’autonomia dei giudici, sciogliere il Consiglio Superiore della Magistratura, assumere gli incarichi di governo e procedere a colpi di decreti, modificare la Costituzione (spazzando via le conquiste della Primavera araba), modificare a proprio vantaggio la Legge elettorale. E, contemporaneamente, ha fatto arrestare e imprigionare con accuse pretestuose o inconsistenti decine di oppositori politici e di persone anche solo semplicemente critiche, fra le quali, naturalmente, giudici, attivisti, sindacalisti e giornalisti. Queste ultime elezioni, come si è accennato, gli hanno fornito l’occasione per arrestare, estromettere o indurre alla fuga tutti i candidati dell’opposizione che hanno osato anche solo dichiararsi alternativi.

Un’ultima nota, doverosa anche se solo accennata, riguarda i rapporti della Tunisia con l’Unione europea, e con l’Italia in particolare, sui flussi migratori. In molti ricordiamo l’enfasi data al vertice di giugno e al memorandum di ottobre 2023 sul tema migranti. Enfasi oserei dire preoccupante, dato il personaggio Saied. Secondo l’ex deputato tunisino Majdi Karbai (facebook del 5 ottobre 2024), che vive in Italia, «I tunisini che arrivano in Italia con i flussi annuali di lavoratori regolari sono rimandati nel loro Paese attraverso gli aeroporti e i porti italiani. Alcuni sono stati rimpatriati, altri rinchiusi nei centri di detenzione per migranti».

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