La lezione del Canada
Qualche giorno trascorso lontano da casa al solito porta suggerimenti e riflessioni che possono essere utili per noi, che apparteniamo ad altre popolazioni, che veniamo da altre regioni del mondo. Il diverso-da-sé aiuta a capire noi stessi e a smascherare gli infingimenti nei quali ci siamo rintanati. Suggerimenti, non obbligazioni, ci mancherebbe, anche perché la storia non è mai la stessa in luoghi diversi. Viaggiare, comunque, è un esercizio della mente e del cuore che aiuta ad aprire il proprio spirito alla complessità dell’esistenza e delle relazioni sociali. È con questo spirito che cerco di utilizzare al meglio il mio tempo nel soggiorno di una settimana in Canada, più precisamente nel Québec francofono, una regione oggi pacificata e, forse, pacificante.
Innanzitutto, non si può non restare colpiti dalla qualità della convivenza: nel salire le scale mobili della stazione della metropolitana Cote Vertu, conto le persone dalla pelle non proprio chiara che scendono verso i treni: ne conto 31 rispetto alle 12 più evidentemente caucasiche, come si dice, cioè di origine europea. Montréal è così, un grande, immenso centro di accoglienza per stranieri, che poi in un certo tempo diventeranno canadesi a tutti gli effetti. La convivenza è quindi obbligata ma, direi, anche voluta. Se il Québec è francofono, tollera anche l’anglofonia, e la città così vive in modalità bilingue, anche se il francese è primo nella lista.
Il calore umano dei québecois non è da trascurare, egualmente. Forse per contrasto con il clima a lungo freddo e inospitale, le relazioni sono particolarmente calorose, anche tra sconosciuti, anche se occasionali. Allorché sei invitato a casa di qualcuno, la qualità dell’accoglienza è inversamente proporzionale alla temperatura esterna. A ciò contribuisce il fatto che la maggioranza degli attuali abitanti hanno, a un certo momento della loro esistenza, sperimentato l’accoglienza di questo Paese, conservando quindi sentimenti di riconoscenza per gli abitanti canadesi che li hanno preceduti.
Ancora, l’efficienza. Qui non si sta con le mani in mano, anche se non si riscontra la frenesia di altre metropoli nordamericane, come New York o Toronto. Essendo una nazione di migranti, il Canada, e il Québec in particolare, sa che nulla è gratuito, che la vita non è semplice, che con la tenacia e con l’intelligenza bisogna conquistarsi una posizione sociale di benessere, o perlomeno di non indigenza. Qui si lavora parecchio e si vuole che il proprio lavoro sia utile e efficiente. Nell’università che visito, non vedo gente perdere tempo, gli studenti studiano e i professori insegnano come stessero compiendo una missione salvifica.
Ancora, i pochi giorni trascorsi a Montréal e dintorni mi hanno convinto di una qualità degli abitanti di qui: il rispetto, che vuol dire mettere la sordina all’invidia e alla voglia di primeggiare a tutti i costi, apprezzare con sincerità le qualità altrui, interessarsi delle esperienze altrui per poterne fare tesoro, ed eventualmente per migliorare la propria, di esistenza. Rispetto qui a Montréal vuol dire cedere il posto agli anziani e alle donne incinte – il che da noi ormai è pratica passata in disuso –; vuol dire che ovunque nei luoghi pubblici o privati le barriere architettoniche vengono superate con adeguate misure; vuol dire fermarsi allo stop anche se non ci sono auto in arrivo; vuol dire poter accedere ai servizi medici o scolastici con precisione e chiarezza.
Sul ritardo cronico dei treni, sul traffico spesso laborioso, sulla difficoltà estrema che i candidati a diventare canadesi incontrano per ottenere il visto, sulla inflessibilità della legge che non conosce l’epikeia, cioè l’eccezione, sulla progressiva sterilità delle strutture ecclesiali, sull’uso eccessivo dello sciroppo di acero, sugli spaghetti scotti e via dicendo ne parleremo in un’altra occasione, se ci sarà occasione, più avanti, molto più tardi. Quando si incontra un popolo per la prima volta, è buona norma vederne le qualità, e non i difetti.