Libano, Unifil e la guerra che non volevano

Il Libano invaso e bombardato dal governo israeliano, anche se dominato da Hezbollah, è pur sempre un Paese sovrano. E sparare alle forze Unifil va contro il diritto internazionale: l’Onu sarà pure in crisi, ma accusarlo di essere antisemita e pretendere che i soldati Unifil se ne vadano potrebbe essere troppo. Ma a parte queste amare considerazioni, come stanno vivendo i libanesi in questi giorni?
La base delle United Nations Interim Forces in Lebanon (UNIFIL) nel distretto di Ebel El Saqi Marjeyoun, nel Sud del Libano. La base è stata colpita dall'esercito israeliano. EPA/STRINGER

«Avete l’opportunità di salvare il Libano prima che finisca nell’abisso di una lunga guerra che porterà a distruzione e a sofferenze come quelle che vediamo a Gaza. Popolo del Libano, liberate il vostro paese da Hezbollah, così questa guerra potrà finire». Lo ha detto il premier israeliano Netanyahu in un messaggio ai libanesi, parlando in inglese. Ma a quali libanesi si è rivolto? Difficile immaginare che ci sia qualche libanese che provi simpatia per un proclama di questo genere.

Personalmente di libanesi simpatizzanti per Israele non ne ho ancora conosciuti, pur avendo vissuto in Libano alcuni anni. C’è magari chi ha nostalgia della Siria e chi dell’Arabia Saudita, chi ama l’Iran e chi gli Usa o la Francia, perfino la Turchia, ma nessuna propensione per gli israeliani. Non dopo che l’esercito israeliano ha invaso il Libano 4 volte negli ultimi 40 anni. Prima per “distruggere” i palestinesi dell’Olp cacciati o fuggiti da Israele a causa della nakba del 1948, adesso per “annientare” Hezbollah, comunque con danni enormi al Libano, con morti e feriti libanesi ogni volta: e le vittime non sono mai state soltanto i miliziani musulmani di turno (sunniti o sciiti), ma anche non pochi civili di tutte le confessioni, cristiani e drusi compresi.

In realtà il messaggio di Netanyahu, più che un invito a salvare il Libano, esprime una minaccia che suona più o meno come: il Libano (a causa di Hezbollah) farà la fine di Gaza. A questo poi va aggiunto il disprezzo del governo israeliano per il diritto internazionale: il Libano, anche se fortemente condizionato da Hezbollah e con moltissimi problemi, è pur sempre un Paese sovrano. E sparare alle forze Unifil, inoltre, ribadisce il concetto: l’Onu sarà pure in crisi, ma accusarlo di essere antisemita e pretendere che i soldati Unifil se ne vadano potrebbe essere troppo anche per il ricco Occidente che arma e sostiene il governo israeliano. Ma non dovremo sorprenderci se poi alla fine l’Onu capitolerà al diktat e toglierà di mezzo i caschi blu lasciando via libera all’invasione. Ma a parte queste amare considerazioni, come stanno vivendo i libanesi in questi giorni?

Un giornalista libanese, che scrive da anni su l’Orient le Jour, Fady Noun (cristiano maronita, di certo non simpatizzante di Hezbollah), ha descritto il clima che si vive in Libano in questi giorni di invasione in un articolo (asianews.it, 1 ott 2024) intitolato «Il Libano dopo Nasrallah, piegato alla guerra che non voleva». Noun afferma fra l’altro raccontando l’invasione israeliana: «Operazioni che hanno… devastato la periferia sud di Beirut, così come tutte le regioni in cui Hezbollah è radicato e vanta un sostegno popolare, dalla capitale al sud del Libano fino alla valle di Békaa, al prezzo di oltre un migliaio di vittime [nel frattempo aumentate] e devastazioni incalcolabili. E finendo per gettare sulla strada una popolazione ad oggi senza alternative. Stipata in centri di accoglienza improvvisati (scuole pubbliche e private, sale della chiesa e aule o edifici comunali), parte della popolazione si è ritrovata sui marciapiedi, nelle piazze e nei giardini pubblici di Beirut. In questo agglomerato umano, le parole di risentimento contro il segretario generale di Hezbollah sono molto rare. Anche nella sofferenza, la popolazione rimane visceralmente legata a lui, non senza gratitudine per l’accoglienza precaria ma umana che trova nelle regioni risparmiate dall’accanimento israeliano».

Cioè nelle regioni del nord, a prevalenza cristiana, ma anche nello Shouf, fra i drusi. Emblematica la testimonianza di Riccardo Cristiano (formiche.net 10.10.2024) sull’accoglienza dei profughi a Wadi al-Zayne, una cittadina drusa poco a nord di Sidone.

La sofferenza provocata dall’invasione, si parla di un milione di sfollati, sta unendo i libanesi nella solidarietà senza distinzione verso tutti. Incredibile fino a ieri.

Una presa di posizione autorevole sulla guerra e sulla situazione dei palestinesi l’ha presa Christian Reflection, un gruppo cristiano che fa capo al patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini, Michel Sabah, ad un anno dalle stragi compiute da Hamas contro ebrei israeliani il 7 ottobre 2023, «l’eccidio che ha aperto il nuovo vortice di morte e annientamento che risucchia interi popoli e trascina il mondo intero verso il baratro della guerra globale» (fides.org, 5 ottobre 2024).

Quella in atto – affermano – «non è una guerra di religione. E dobbiamo schierarci attivamente, dalla parte della giustizia e della pace, della libertà e dell’uguaglianza. Dobbiamo stare al fianco di tutti coloro, musulmani, ebrei e cristiani, che cercano di porre fine alla morte e alla distruzione».

Senza mezzi termini gli autori riconoscono che la pace sarà possibile «solo quando la tragedia del popolo palestinese avrà fine». C’è bisogno «di un accordo di pace definitivo tra questi due partner e non di cessate il fuoco temporanei o soluzioni provvisorie».

La forza militare di Israele «può distruggere e portare morte, può spazzare via leader politici e militari e chiunque osi alzarsi e opporsi all’occupazione e alla discriminazione. Tuttavia, non può portare la sicurezza di cui gli israeliani hanno bisogno. La comunità internazionale… deve aiutarci riconoscendo che la causa principale di questa guerra è la negazione del diritto del popolo palestinese a vivere nella sua terra, libero e uguale».

«Siamo un popolo, cristiani e musulmani. Insieme dobbiamo cercare la via oltre i cicli della violenza. Insieme a loro, dobbiamo impegnarci con quegli ebrei israeliani che sono anche stanchi della retorica, delle bugie, delle ideologie di morte e distruzione».

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