La tragedia del Vajont, 61 anni dopo

Il 9 ottobre 1963, alle 22.39, una frana si staccò dal monte Toc e cadde nel bacino artificiale del Vajont, provocando un'onda che travolse Longarone e provocò quasi 2000 morti. Una ricorrenza che funge da monito ogni anno
Il cimitero delle vittime del Vajont, Longarone. ANSA/ANDREA SOLERO

Nel bellunese, e più in generale lungo tutto il corso del Piave, si tratta di un ricordo ancora molto sentito: così sentito da essere entrato anche nei modi di dire dei più anziani – ricordo mia nonna che, se rovesciavo l’acqua sul tavolo, mi diceva «Te ha fat vero un Vajont», “Hai fatto proprio un Vajont”. Parliamo appunto della tragedia del Vajont, l’invaso artificiale in cui, alle 22.39 del 9 ottobre 1963, rovinò la frana caduta dal monte Toc. Una sciagura ampiamente annunciata in particolare dalla giornalista Tina Merlin, che già da anni nei suoi articoli denunciava – purtroppo inascoltata – come si fosse andati avanti con i lavori della diga nonostante le indagini geologiche avessero acclarato questo rischio.

L’onda che ne risultò lambì i paesi di Erto e Casso, e travolse a valle la cittadina di Longarone, completamente distrutta. Furono poco meno di 2000 le vittime, di cui circa un quarto i bambini; ritrovate anche cento e più chilometri a valle lungo il corso del Piave, e recuperate anche da semplici cittadini, che si sono in diversi casi prodigati per far loro dare degna sepoltura. Negli anni la storia di quanto accaduto è diventata oggetto di denuncia e di monito sempre più ampio e nelle sedi più svariate, compreso il teatro – si ricorderà come a contribuire più di tutto a far conoscere il Vajont al grande pubblico sia stato il celebre monologo di Marco Paolini, nel 1993.

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla cerimonia di commemorazione della tragedia del Vajont, Longarone (Belluno), 9 ottobre 2023. ANSA/PAOLO GIANDOTTI/US QUIRINALE

Le cerimonie sono state particolarmente sentite nel 2023, anno del 60° anniversario, che ha visto oltre 150.000 persone – tra cui il presidente Mattarella – visitare la diga e i dintorni. Sempre nel 2023 l’International Union of Geological Sciences ha aggiunto la frana del monte Toc alla lista dei cento geositi più rappresentativi della Terra, a  conferma del significato che il Vajont ha ormai nell’immaginario collettivo.

Anche nel 2024 comunque, come ogni anno, ci sono stati i momenti di commemorazione. «Anche quest’anno, per il 9 ottobre, la nostra mente torna al lontano 1963, per non dimenticare le quasi 2000 vittime innocenti, tra i quali 487 bambini, di quella che è passata alla storia come la tragedia del Vajont. Una data che non si risolve in un ricordo routinario perché il dolore è ancora vivo in tante persone, tante famiglie: è una ferita ancora aperta per la nostra Terra» ha dichiarato il presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia.

Che non ha fatto mancare un riferimento all’oggi: «Dopo il cimitero monumentale di Fortogna, l’archivio giudiziario è il riferimento morale più importante di questa sciagura – ha infatti aggiunto -. È la bussola per comprendere cosa è accaduto e orientarsi anche oggi. Il nome Vajont, infatti, è sempre ricorrente di fronte a nuove sfide nel rapporto tra l’uomo e la Natura. È una parola che ogni volta viene pronunciata deve suscitare una riflessione su quale debba essere l’impegno responsabile verso i cittadini e il territorio. Dobbiamo, infatti, anche a coloro che sessantun anni fa rimasero vittima della volontà di piegare la natura unita all’indifferenza ai suoi segnali, se oggi l’attenzione nei confronti dell’emergenza idrogeologica, la sensibilità per l’ambiente e il mutamento climatico si è radicata ed è motivo di impegno e confronto». Parole a cui hanno fatto eco quelle del presidente della Camera, Roberto Fontana, secondo cui «la tragedia del Vajont richiama l’importanza di un approccio responsabile alla gestione delle risorse naturali, la necessità dell’ascolto dei territori e della cura della sicurezza delle nostre comunità».

E proprio il Vajont è stato infatti recentemente richiamato nel dibattito a proposito della diga del Vanoi, che si vorrebbe costruire tra Veneto e Trentino: un progetto che presenta criticità per molti versi simili, e che da anni vive un tira e molla tra prospettive di abbandono dell’idea (come sembrano essere quelle attuali) e momenti di nuovo slancio (come era stato fino a solo poche settimane fa). Ma è evidente che il discorso si allarga alle numerose criticità sotto il profilo idrogeologico che il nostro Paese sta sempre più vivendo, che siano la mancata costruzione di opere utili o la mancata manutenzione del territorio, o viceversa la costruzione di opere che si rivelano poi dannose.

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